1. LA SALETTE

    UN SANTUARIO REINVENTATO DA INTELLETTUALI E OCCULTISTI

     

     

     

    Il decreto del Sant’Uffizio

    Il 21 dicembre del 1915 la Congregazione del Sant’Uffizio promulga un decreto che dovrebbe chiudere per sempre il sipario sulle polemiche legate al- l’apparizione mariana del 1846 a La Salette. Il documento non tocca l’appari- zione in sé, che continua ad essere considerata degna di fede, ma vieta di par- lare e diffondere il segreto de La Salette, cioè quella parte del discorso di Ma- ria rivolto solo alla veggente Mélanie che avrebbe dovuto essere tenuto nascosto. Dalla documentazione si deduce che il provvedimento è stato solle- citato dal vescovo di Grenoble e dai Missionari de La Salette1, desiderosi di purificare questa devozione dalle derive esoteriche e apocalittiche di alcune sette che facevano capo alla veggente Mélanie e che fondavano le loro inter- pretazioni della devozione sul famoso segreto, ormai rivelato da Mélanie stessa e stampato in vari opuscoli. Il fatto stesso che la veggente fosse conside- rata eretica, mentre l’apparizione veniva accettata dalla Chiesa, costituisce una singolarità, una delle tante che segnano la storia di questa apparizione2. Il decreto costituisce il punto di arrivo finale – almeno per ora – della complessa questione relativa all’apparizione de La Salette che, a differenza di quella di Lourdes, ha suscitato fin dal primo momento molte ostilità al-

     

     

     

    1 Questo decreto non è mai stato abrogato e stupisce pertanto l’uscita recente di opere edite in ambito ecclesiastico (come quella di M. Corteville, La «Grande Nou- velle» des Bergers de La Salette. Le plus grand amour, les plus fortes expressions, Roma, 2000 – estratto di una tesi discussa nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – che tra l’altro utilizza documenti conservati nell’Archivio del Sant’Uffizio) volte a difendere il segreto.

    2 Sull’apparizione de La Salette cfr. La Salette. Apocalypse, pèlerinage et littérature (1856-1996), textes réunis par F. Angelier et C. Langlois, Grenoble, 2000, e la documen- tazione raccolta e pubblicata dallo studioso Jean Stern, missionario salettiano, in La Salette. Documents authentiques  : dossier chronologique intégral, I-III, Paris, 1980-1991.


     

    l’interno dello stesso mondo cattolico, a cominciare dal bollandista Hippo- lyte Delehaye per arrivare al curato di Ars, che poi sembra cambiare pare- re, fino a quella costantemente dimostrata nei confronti dell’apparizione da parte dell’arcivescovo di Lione, il cardinale Louis-Jacques-Maurice de Bonald. Con questo documento, infatti, si vuole stabilire chiaramente cosa sia buono e cosa non lo sia nella devozione salettiana, si vuole cioè salvare un’apparizione che ha conosciuto un certo successo devozionale ma che è gravata da interpretazioni inquietanti.

    Fino a questo momento l’apparizione de La Salette era stata lasciata praticamente nelle mani dei vescovi di Grenoble che si erano impegnati a di- fenderla ad oltranza sia dagli increduli sia dai devoti sospetti che questa Ma- donna ha attirato fin dal primo momento. Il vescovo di Grenoble Philibert de Bruillard, subito dopo il riconoscimento del carattere sovrannaturale del- l’apparizione da parte della Santa Sede (1852), aveva creato un ordine appo- sito, i missionari de La Salette3, guardiani del santuario e controllori severi della devozione : sono proprio loro, infatti, i più acerrimi nemici della veg- gente Mélanie, e loro i tentativi di portare la devozione verso un ambito più tradizionale e tranquillizzante. Questa volontà di «normalizzare» un’appari- zione così eterodossa in cui la Vergine appare vestita e acconciata in modo anomalo, e piange, oltre che parlare ai due pastorelli investe tutti gli aspetti del culto, dalle immaginette agli oggetti souvenir, dalle statue alle pubblica- zioni storiche. Un esempio clamoroso di questo impegno a riportare nella norma una Madonna perlomeno insolita lo dà l’episodio dell’incoronazione di una nuova statua della Vergine nel santuario nel 1879 : per l’occasione, il vescovo di Grenoble Armand-Joseph Fava e il cardinale Domenico Bartolini avevano fatto scolpire una statua «classica» di Maria con il capo coperto dal velo, diversa da quella descritta dai testimoni dell’apparizione come i pelle- grini presenti non mancano di far notare con disapprovazione e soprattut- to senza i due pastorelli, sempre raffigurati nell’iconografia popolare.

    La tenace difesa da parte dei vescovi di Grenoble di una apparizione

    che pure procura loro non pochi grattacapi si può capire – oltre che sul pia- no religioso – anche su quello economico : l’apparizione è un vero toccasa- na per l’economia di una regione poverissima e degradata, che grazie al flusso di pellegrini sarà anche raggiunta da una linea ferroviaria in tempo abbastanza precoce. Ma perché il Sant’Uffizio, invece di lasciare come il solito la gestione di tutti i problemi de La Salette al vescovo di Grenoble, questa volta decide di intervenire?

     

     

    3 Sull’ordine cfr. J. Jaouen, Les Missionaires de Notre-Dame de La Salette, Paris, 1953.


     

    Il motivo senza dubbio è la grande diffusione che ha avuto la pubblica- zione integrale del segreto di Mélanie, stampato in Italia nel 1879 con l’im- primatur del vescovo di Lecce Salvatore Luigi Zola, tradotto subito in fran- cese e in tedesco e diffuso nel mondo cattolico da varie pubblicazioni reli- giose oltranziste. Il decreto, conservato nel fascicolo Censura librorum, è accompagnato infatti da un dossier inviato dal vescovo di Grenoble e pre- parato da monsignor Joseph Giray, vicario generale di Grenoble e rettore de La Salette, che comprende un elenco di libri «pericolosi», perché difen- dono la veggente Mélanie dall’accusa di avere arricchito con argomenti di sua invenzione il messaggio che la Vergine le aveva affidato al momento dell’apparizione, il 19 settembre 1846. Sono libri scritti da sacerdoti e reli- giosi che appartengono agli stessi ambienti delle pubblicazioni che diffon- dono il segreto – La semaine religieuse, Dieu el volt, Dieu et patrie, Le Règne du Christ par le Grand Roy, La lumière celeste – ai quali si aggiungono però due opere ben differenti : Celle qui pleure (1908) di Léon Bloy e una Vie de Mélanie (1912), anonima, con introduzione dello stesso scrittore.

    Si tratta di due filoni ben diversi e per molti aspetti distinti. Il primo,

    cattolico oltranzista e apocalittico, vivo in un certo senso ancora oggi, si era formato intorno a La Salette subito dopo l’apparizione, intrecciando gruppi legittimisti a sette apocalittiche, ed era destinato a continuare an- che dopo la pronuncia negativa del Sant’Uffizio in proposito. Gli autori ap- partenenti a questo primo gruppo – prevalentemente ecclesiastici – conti- nueranno, nonostante il decreto, a diffondere il segreto per varie vie, senza entrare in contrasto con le autorità ecclesiastiche. Si passa da chi critica il decreto, dicendo che rischia di venire interpretato come una condanna del- l’apparizione stessa, creando danni al santuario, a chi ne elabora una lettu- ra parziale e riduttiva, secondo la quale non sarebbe stata proibita la diffu- sione del segreto, ma solamente ogni interpretazione al riguardo.

    Un filone completamente differente è quello costituito dagli scritti di Bloy, che appartengono alla cultura alta, ad un’area cattolica molto vici- na a interessi esoterici, e che testimoniano un avvicinamento alla devo- zione salettiana da parte di molti intellettuali francesi. Dal minuzioso esame al quale vengono sottoposti l’introduzione alla Vie de Mélanie e La femme qui pleure si deduce come sia proprio quest’ultimo autore a susci- tare tanta inquietudine nel Sant’Uffizio4, come acutamente sostiene la prefazione di una delle pubblicazioni oltranziste del segreto, La grande crise (15 aprile 1921) :

     

     

    4 Fra le carte del Sant’Uffizio sono conservati due lunghi e minuziosi rapporti su questi testi, scritti su carta intestata del vescovado di Grenoble ma privi di firma.


     

    La sacrée congrégation défend de traiter ou discuter le secret, mais elle ne condamne pas et ne peut pas condamner ce que Léon XIII a accepté et dont il a désiré la diffusion. Benoît XV lui-même a déclaré au Supérieur géné- ral des missionnaires de La Salette que le saint Office n’avait pris qu’une me- sure disciplinaire à cause de l’imprudence et des vues exagérées d’écrivains ir- responsables5.

    Il libro di Bloy, La femme qui pleure (uscito nel 1908), che ha conosciu- to un certo successo (nel 1938 si era già alla settima edizione), costituisce la punta di diamante di un filone di devoti de La Salette – formatosi negli ulti- mi decenni dell’Ottocento – appartenenti al fior fiore dell’ambiente intellet- tuale francese come Joris Karl Huysmans, Louis Massignon e più tardi Jac- ques Maritain, Ernest Psichari e Paul Claudel, che sembrano essersi av- vicinati a questa devozione per vie piuttosto eterodosse che passano attraverso l’occultismo, molto diffuso negli ambienti colti del periodo. Nel decreto non si fa parola di altri scrittori, come Huysmans (che del resto non aveva pubblicato la sua opera dedicata a La Salette, Là-haut), e neppu- re dei legami di Bloy con l’esoterismo, né tanto meno della devozione verso La Salette esibita da uno dei più famosi satanisti francesi, Jean-Antoine Boullan. Si può supporre però che questo pericolo fosse ben noto alle ge- rarchie ecclesiastiche, come dimostra nel complesso tutto l’atteggiamento tenuto dai padri salettiani. Mélanie, con il suo segreto, era a ragione ritenu- ta il tramite fra questi ambienti occultisti, i cattolici oltranzisti e la devo- zione popolare. La caratteristica comune a tutti gli intellettuali devoti de La Salette è infatti la difesa di Mélanie e l’accettazione del segreto : con la condanna di questo venivano quindi condannati, sia pure indirettamente, anche i sostenitori d’ispirazione occultista senza rendere palese la contami- nazione esoterica che aveva subito questa devozione.

    Nei documenti raccolti dal Sant’Uffizio in preparazione al decreto, in-

    fatti, non si parla mai di derive esoteriche o occultiste della devozione sa- lettiana – tracce probabilmente cancellate con cura dai missionari che si erano là installati (non si trova nel piccolo cimitero del santuario, ad esem- pio, la tomba di Tardif de Moidrey, il religioso esoterico che aveva condot- to per la prima volta Bloy al pellegrinaggio e che era morto a La Salette) – ma solamente delle correnti di cattolici tradizionalisti, che interpretano il segreto come un avvertimento delle manovre di Satana e si presentano co- me difensori contro queste forze occulte negative. Questo atteggiamento prudente potrebbe avere le sue radici molto lontano : già all’inizio del Sei- cento un’Istruzione del Sant’Uffizio6, che raccomandava estrema cautela ai

     

     

    5 Archivio del Sant’Uffizio, Censura librorum, 1879-1882, p. 12.

    6 Si tratta dell’Instructio pro formandis processibus in causis strigum maleficio-


     

    giudici in questo tipo di cause, aveva esercitato in Italia una forte influenza tanto che, a partire dalla seconda metà dello stesso secolo, erano scompar- se quasi completamente le condanne per stregoneria.

    Ma qualche traccia di questi legami della devozione salettiana con il mondo occultista è comunque rimasta : il cardinale arcivescovo di Lione Hector-Irénée Sévin ad esempio, in una lettera del 5 ottobre 1915 al San- t’Uffizio, parla apertamente di una alleanza fra massoni (nome con il quale si alludeva a tutta la spiritualità non cristiana) e visionari cattolici. Un so- stenitore del segreto, invece, che si nasconde dietro lo pseudonimo di Pier- re de La Salette sostiene – sempre in una lettera al Sant’Uffizio – che le pre- dizioni di Mélanie si sono già avverate, e che il demonio sta infiltrando di suoi emissari gli istituti religiosi, dove si celebrano messe nere e si pratica- no profanazioni sacrileghe7. Secondo costui, che usa parole simili a quelle di molti altri sostenitori del segreto, la devozione a La Salette dovrebbe ser- vire proprio ad anticipare e contrastare l’attività di questi occultisti. Ma già il gesuita Louis Billot, in un rapporto redatto nel 1909 sulla dottrina dei cattolici apocalittici8, sottolineava l’ambiguità di questi continui riferimen- ti a Satana, con il quale queste sette oltranziste sembravano rivelare un po’ troppa dimestichezza.

    Probabilmente Billot, come lo stesso arcivescovo di Lione Sévin (non-

    ché il suo predecessore de Bonald), erano ben informati a proposito della setta occultista che si era formata a Lione prima sotto la guida di Pierre- Michel-E´ lie Vintras, poi sotto quella di Boullan. Questa era nata per lottare contro i satanisti ma rapidamente era scivolata nella pratica di messe nere e riti satanici di vario genere sulla base della sconcertante teoria della ripa- razione elaborata dall’abbé Boullan9, grande devoto de La Salette e che si accompagnava nelle sue imprese a Adèle Chevalier, una delle prime mira- colate del santuario. Del resto, il legame fra gli occultisti di Lione e La Sa- lette risaliva al 1847, quando una parte del segreto di Mélanie era stata pubblicata dall’abbé Léopold Baillard, originario di Sion-Vaudémont, che

     

     

     

    rum et sortilegiorum, emanata dal Sant’Uffizio romano intorno al 1620 e pubblicata nel 1655. In proposito cfr. J. Tedeschi, Il giudice e l’eretico, Milano, 1997, p. 125 e

    p. 136.

    7 La lettera di Pierre de La Salette è nell’archivio del Sant’Uffizio, Censura libro- rum, 1879-1882, n. 13, fascicolo 11.

    8 Il rapporto è nell’archivio della Pontificia Università Gregoriana, Carte Billot, 2345.F, Expositio doctrinae de Renovatione eschatologica.

    9 Cfr. M. Thomas, L’abbé Boullan et l’Œuvre de la Réparation, in La Tour Saint- Jacques, X, 1957, mai-juin, p. 72-90 e J. Bricaud, L’abbé Boullan, sa vie, ses doctrines et ses pratiques magiques, Parigi, 1927.


     

    poi avrebbe lasciato la Chiesa per unirsi, insieme con la profetessa che lo accompagnava, alla setta di Vintras10.

     

    Gli intellettuali

    Se il legame fra gruppi oltranzisti cattolici e cultori dell’occultismo non era chiaro, questo risultava invece molto più evidente nel caso degli in- tellettuali che, come Bloy, sostenevano Mélanie e il segreto. Il ruolo di que- sti ultimi, che è stato di importanza non secondaria per il successo del san- tuario11, ha creato una situazione particolare che vedeva legati in questo luogo una pratica estremamente popolare e tradizionale insieme a raffinati e complessi esegeti di tendenza esoterica. È chiaro però che l’interesse di questi intellettuali imbevuti di cultura esoterica rendeva più difficile ai pa- dri salettiani far dimenticare la deriva occultista che aveva coinvolto l’ap- parizione fin dal primo momento, e nella quale era stata attirata – con mol- ta probabilità inconsapevolmente – Mélanie.

    Il decreto comunque sortì il suo effetto, almeno per quanto riguarda la difesa dell’apparizione di Mélanie preparata da Jacques Maritain e da lui consegnata a Benedetto XV nel 1918, che non fu mai pubblicata e sulla qua- le torneremo. Ma la paura di dispiacere alle gerarchie ecclesiastiche aveva già indotto Huysmans, nel 1893, a distruggere il romanzo Là-haut che ave- va scritto per difendere l’apparizione e Mélanie. Huysmans in questo libro narrava la storia della sua tormentata conversione, nella quale aveva svolto un ruolo di prima importanza l’occultista Boullan e la sua assistente Julie Thibault nonché il pellegrinaggio compiuto con lui e su suo consiglio a La Salette nel 1891. Huysmans riversò una parte dell’opera che voleva distrug- gere – ma che poi, ritrovata, è stata stampata nel 198612 – in un nuovo ro- manzo, En route, nel quale prendeva definitivamente le distanze dal suo passato di occultista e nel quale La Salette non veniva più menzionata.

    Anche Maritain, accettando il verdetto negativo del papa e proibendo la pubblicazione della sua difesa dell’apparizione anche dopo la sua mor-

     

     

     

    10 Cfr. J. Stern, La Salette vue par Léon Bloy, in M. Arveiller, P. Glaudes (éd.),

    Léon Bloy, Parigi, 1988, p. 166.

    11 Nel piccolo museo affiancato al santuario una stanza è dedicata alle testimo- nianze di devozione degli intellettuali.

    12 J. K. Huysmans, Là-haut ou Notre-Dame de la Salette, Parigi, 1965. Si tratta di un’edizione critica curata da Michèle Barrière, più esattamente definita nei seguenti termini : «L’étude et la première publication intégrale d’une première version d’En route, roman dont les conditions d’élaboration sont longtemps demeurées mal con- nues» (p. 28).


     

    te13, prendeva in qualche modo le distanze da colui che l’aveva convertito e al tempo stesso l’aveva iniziato alla devozione salettiana e alla fiducia in Mélanie, Bloy.

    Le costanti che ritornano in queste due vicende emblematiche – Mari- tain e Huysmans si erano anche conosciuti e avevano avuto dei rapporti proprio in relazione a La Salette14 – rivelano molti caratteri di questa devo- zione e aiutano a spiegare il suo successo in raffinati ambienti intellettuali ai quali, a prima vista, una apparizione di questo tipo risulterebbe assolu- tamente estranea. Questo tema è stato affrontato da Jean Marx in un lungo saggio15, che mette in luce l’attrazione romantica per il paesaggio e il di- sprezzo dei nuovi convertiti e degli intellettuali verso i cattolici normali, poco ferventi, che non si infiammano davanti al problema del male, e da François Angelier e François L’Yvonnet con due contributi16, che non dan- no però conto dei legami che l’ambiente letterario francese della seconda metà dell’Ottocento, e in particolare gli scrittori in questione, intratteneva- no con gli ambienti esoterici e occultisti. Anche Jean Marx, se pure ben mette in evidenza l’attrazione intellettuale che questo «scandale métaphy- sique» – rappresentato dalla «beatitudine» (cioè dalla Vergine) che piange – esercita sul radicalismo spirituale dei neofiti, trascura infatti un aspetto fondamentale : le radici esoteriche se non occultiste di molte di queste con- versioni, la commistione fra esoterismo cristiano escatologico ed esoteri- smo occulto della quale molti di loro sono esponenti di primo piano.

    L’apparizione de La Salette aveva senza dubbio delle caratteristiche

    fatte per piacere agli artisti e agli intellettuali : il paesaggio di alta monta- gna, innanzi tutto, e in secondo luogo la netta posizione antimoderna espressa dal messaggio alla Vergine, in un contesto generale nel quale gli intellettuali che si convertono vanno verso «un catholicisme offrant une doctrine intégrale, et campant sur un net refus du monde moderne se pré-

     

     

     

     

    13 Cfr. J. Maritain, Carnet de notes, Parigi, 1965, cap. III. Alcuni estratti furono pubblicati dallo stesso Maritain nel 1946 in una lettera a Louis Chaigne (L. Massi- gnon, La Salette. Témoignages, Parigi, 1946, p. 87-92).

    14 Cfr. L. Massignon, L’amitié et la présence mariale dans nos vies, in J. Maritain. Son œuvre philosophique, in Revue thomiste, LIV, 1948, p. 6-8.

    15 J. Marx, La Salette dans la littérature catholique des XIXe et XXe siècles, in Appa- ritions et miracles. Problèmes d’histoire des religions, ed. A. Dierkons, 2/1991, p. 93- 121.

    16 F. Angelier, Les écrivains de La Salette : Huysmans, Bloy, Claudel, e F. L’Yvon- net, Un destin à rendre jaloux les anges : Louis Massignon et La Salette, entrambi in La Salette. Apocalypse, pèlerinage et littérature (1856-1996) cit., p. 185-191 e p. 193-219.


     

    sentant comme une alternative. C’est l’intransigeance qui attire et retient des écrivains tels que Claudel ou Huysmans»17.

    Tutti gli scrittori pellegrini rivelano infatti un’impressione profonda davanti al paesaggio di alta montagna : non è un caso che La Salette venga spesso chiamata «la santa montagna», evocando simboli biblici e, più in generale, appartenenti ad una vasta tradizione spirituale18. La salita di Bloy e di Huysmans al luogo dell’apparizione avviene infatti negli anni in cui sta diffondendosi la passione per la montagna e per l’ascesa delle Alpi : non è un caso che a pochi chilometri in linea d’aria dal santuario, in fondo ad un’altra valle, a La Bérarde, sia stato costruito nel 1864 uno dei primi rifugi del club alpino francese. Il paesaggio, e l’impressione che evoca nell’anima del pellegrino, occupa un posto non secondario nelle descrizioni del pelle- grinaggio degli scrittori : secondo Jean Marx, La Salette per Bloy si rivela come «le centre d’un mystère à décrypter et à méditer, dans un site austère, difficile d’accès, réservé à une élite»19 e da parte sua Huysmans scriverà che è un luogo che fa manifestare «l’idée de l’infini qui est en nous»20. Massi- gnon descriverà in termini intensamente drammatici la sua salita nella ne- ve, durante la notte di Natale del 1911, che precede la sua conversione, per la quale aveva tanto pregato Huysmans durante l’agonia. Per Massignon La Salette – lo ribadisce ancora nel 1946, in occasione d’uno scritto per il cen- tenario dell’apparizione – rappresenta «un ombilic spirituel, l’épicentre d’un ébranlement catholique mondial»21, e Raissa Maritain così ricorda la difficile salita in calesse :

    Nous montons la route abrupte, et que l’on dit fort dangereuse; elle était encore difficile à cette époque. Évidemment elle est étroite comme la porte du ciel. Muraille immense à gauche, abime à droite. Le temps est tiède et déli- cieux, l’air d’une pureté admirable. Il nous semble que nous sommes les pèle- rins du Paradis terrestre caché là-haut, tout près du ciel22.

    Ma non è solo questione di sensibilità romantica : ad attrarre gli scritto- ri, a spingerli ad una conversione nella quale il santuario salettiano gioca un ruolo fondamentale, c’è l’aura esoterica che lo circonda. Si tratta di un’appa-

     

     

    17 J. Grondeux, La religion des intellectuels français au XIXe siècle, Paris, 2002,

    p. 165.

    18 Cfr. in proposito J. Marx, Poétique de La Salette, in Mélanges de Science Reli- gieuse, LVII, 2000, p. 31-41.

    19 J. Marx, La Salette dans la littérature catholique cit., p. 103.

    20 Ivi, p. 106.

    21 L. Massignon, Notre-Dame de La Salette : le voile de ses larmes sur l’fíglise, in

    Dieu Vivant, 1946, n. 7, p. 19.

    22 R. Maritain, Les grandes amitiés, Friburgo-Parigi, 1982-1999 (Œuvres complè- tes, XIV), p. 400-403.


     

    rizione e di un messaggio celeste complessi, lontani dagli schemi abituali, che sembrano a molti un testo cifrato da svelare. Sia Bloy che Huysmans, Massignon e Maritain vivono al centro della vita culturale parigina, arrivano alla conversione tramite personaggi eterodossi e profondamente impregnati di occultismo : Bloy arriva alla fede attraverso Tardif de Moidrey, a sua volta legato con il belga Vercruysse, e convertirà i Maritain; Huysmans arriva a La Salette per opera dell’abbé Boullan, e a sua volta sarà decisivo per la conver- sione e il pellegrinaggio salettiano di Louis Massignon.

    Nell’ambiente intellettuale francese non sembra quasi esserci conver- sione senza un apporto esoterico, e senza un pellegrinaggio a La Salette. Probabilmente, a raffinati intellettuali riusciva difficile pensare a un ritor- no alla Chiesa cattolica per vie tradizionali. Una conversione al cattolicesi- mo, nel loro ambiente, era senza dubbio percepita come una scelta di de- grado culturale, un segno di diminuzione delle loro facoltà mentali, una svolta difficilmente accettabile. La loro ricerca spirituale di anime insoddi- sfatte, inconsolabili dell’assurdità del mondo, di disperati in cerca di un senso profondo della vita si rivolgeva quindi più facilmente, almeno in un primo tempo, a qualcuno che unisse alla scelta di una dimensione religiosa tradizionale la stravaganza di un atteggiamento mistico esasperato, il pro- fetismo, il coraggio di sostenere idee marginali, non accettate dalla Chiesa, l’anticlericalismo. Come Boullan, capo d’una Chiesa occultista di Lione, erede del profeta esoterico Vintras, e Bloy, che si dichiarava cattolico dopo avere frequentato da vicino gli ambienti occultisti di Eliphas Levi23 e dello stesso Boullan.

    Gli occultisti

    L’ambiente esoterico francese vantava infatti un rapporto speciale con la Vergine apparsa ai pastorelli : essa, infatti, anche nella bizzarra descri- zione fisica, sembrava corrispondere perfettamente alla Madonna descritta da Eliphas Levi, ovvero l’abbé Constant, che nella sua conversione all’occul- tismo aveva portato intatta la devozione mariana di cui aveva dato prova in alcuni scritti quando era ancora fedele a quanto aveva ascoltato al semina- rio di Saint-Sulpice. Maria costituisce la figura centrale della sua interpre- tazione della storia24 : in quanto madre dell’umanità riassume in tutte le

     

    23 R. Barbeau, Un prophète luciférien, Léon Bloy, Parigi, 1957, sostiene in modo credibile che, benché Bloy non nomini mai apertamente Eliphas Levi, l’influsso delle idee di quest’ultimo su di lui sono evidenti.

    24 Cfr. P. Bénichou, Il tempo dei profeti. Dottrine dell’età romantica, Bologna, 1997, e J. W. Burrow, La crisi della ragione. Il pensiero europeo 1848-1914, Bologna, 2002.


     

    figure femminili della Scrittura. La teologia tradizionale viene rovesciata, al centro viene posto Satana, assolto come ribelle in cerca di libertà e allea- to della donna che, mangiando il frutto proibito, si rivela ispiratrice di una gloriosa nobilitazione dell’umanità. Per Constant, Maria assume così il ruolo di redentore di Cristo. Grazie a lei, si sarebbe realizzata la cancella- zione del peccato e la riconciliazione degli ebrei con l’ultimo dei papi. Sata- na, per la mediazione di Maria perdonato anche da Cristo, avrebbe ripreso il nome glorioso di Lucifero diventando il genio del progresso. Le idee profetico-mistiche di Bloy sono profondamente influenzate da questa visio- ne, nonché dagli scritti di tenore apocalittico del belga Dominique Ver- cruysse, conosciuto attraverso Tardif de Moidrey25, che, come Vintras, pro- fetizzava l’avvento del Terzo regno, quello del Paracleto, che sarebbe cul- minato con la conversione degli ebrei. Queste teorie gli sembravano poi confermate dalle visioni della prostituta Anne-Marie Roulé, che egli porte- rà con nel secondo pellegrinaggio a La Salette.

    Il messaggio della Vergine, in cui si parlava di Satana che avrebbe potu-

    to essere liberato per punire gli esseri umani che si allontanavano da Dio, ve- niva così letto al contrario dagli adepti esoterici : la liberazione di Satana da parte della Donna redentrice, Maria, diventava una speranza invece di un castigo, perché avrebbe significato l’inizio della nuova era, la terza dopo quelle del Padre e del Figlio, l’era del Paracleto, dello Spirito Santo, che mol- ti esoterici – fra cui probabilmente, almeno per un certo periodo, Bloy – identificavano con Satana liberato e ritornato a essere lo splendido Lucife- ro. L’apparizione de La Salette, in questo clima di attesa di un messia di ses- so femminile – a cui avevano contribuito anche le teorie religiose di Enfan- tin, successore di Saint-Simon e di Flora Tristan ereditate dallo stesso Levi e dalla setta occultista lionese fondata da Vintras e continuata dall’abbé Boul- lan26 era sembrata loro il segnale tanto atteso che «i tempi erano arrivati», che si stava per aprire una nuova era o, magari, la fine del mondo27.

    Boullan era un devoto de La Salette : «Vous savez que c’est à La Salet- te – scrive a Huysmans invitandolo al pellegrinaggio – que Marie, notre di- vine Mère, m’a couvert de ses saintes Larmes; c’est de 1856 que date la Voie

     

     

     

     

    25 Cfr. R. Barbeau, Un prophète luciférien, Léon Bloy cit.

    26 Cfr. in proposito L. Scaraffia e A. M. Isastia, Donne ottimiste. Femminismo e associazioni borghesi nell’Otto e Novecento, Bologna, 2002.

    27 Cfr. H. Multon, Le discours sur l’Apocalypse dans les années 1870 : une réponse aux malheurs des temps, in La Salette. Apocalypse, pèlerinage, littérature (1846-1996) cit., p. 65-80.


     

    où je marche, et j’en bénis le Ciel»28. Proprio a La Salette Boullan aveva co- nosciuto la prima miracolata, la veggente Adèle Chevalier che sarebbe di- ventata sua seguace. Con lei, avrebbe cercato di fondare un ordine, maschi- le e femminile, destinato alla «riparazione», cioè a combattere i satanisti e in generale il male della modernità : il progetto, per un certo tempo accet- tato dalle autorità ecclesiastiche, degenerò presto in una setta occultista dove si commettevano atti orribili e si celebravano messe nere29. Come mi- nimo, Boullan e i suoi seguaci combattevano il male con gli stessi mezzi. L’inquietante abbé è stato il primo a parlare di «apostoli degli ultimi tem- pi» alludendo ad un gruppo di eletti, illuminati dal messaggio de La Salet- te, che avrebbe dovuto salvare il mondo dalla rovina30. Boullan fino alla sua morte, avvenuta nel 1893, fu il direttore di coscienza più ascoltato da Huy- smans, che scrive nel 1892 : «Il n’y a que Boullan qui, malgré toutes ses hé- résies, est à coup sûr un prodigieux mystique, et m’explique les phases par lesquelles je dois passer. Celui-là est bien étonnant, tout de même»31. E il pellegrinaggio a La Salette, compiuto con les «bons toqués» della piccola setta lionese doveva essere per lui lo squarcio che apre le nuvole : gli piac- que il paesaggio, e la proibizione della Chiesa alla diffusione del segreto gli faceva sospettare – come già a Bloy e Boullan – macchinazioni piuttosto che sagge precauzioni. Huysmans non dimenticherà mai questo viaggio, fatto nel luglio 1891 : sfavorevolmente colpito dalla bruttezza artistica del santuario, nella notte sale alla sua spoglia celletta e qui, anche se non è nar- rato nel suo romanzo, «il est plus que probable que Huysmans connut sa nuit de Pascal entre les quatre murs mal blanchis de cette prison libératrice gardée par un humble Christ de plâtre étendu sans art sur le bois d’une croix rustique»32.

    Bloy

    L’opera di Bloy, Celle qui pleure, condannata nel decreto, risulta l’unica pubblicata fra quelle previste in difesa de La Salette da parte degli intellet- tuali (non pubblicano come si è detto Huysmans e Maritain). Bloy scrive sia per compiere la promessa fatta tanti anni prima a Tardif, e solo parzial- mente assolta con l’opera incompiuta sul simbolismo de La Salette, che per

     

     

    28 Lettera di Boullan, citata in A. Artinian e P. Cogny, Introduction à J. K. Huy- smans, Là-haut, ou Notre-Dame de La Salette, Parigi, 1965, p. 28.

    29 Cfr. M. Thomas, L’abbé Boullan et l’Œuvre de la Réparation cit.

    30 Cfr. J. Stern, La Salette vue par Léon Bloy cit., p. 167.

    31 Lettera di Huysmans citata in A. Artinian e P. Cogny, Introduction à

    J. K. Huysmans cit., p. 41.

    32 Ivi, p. 34.


     

    sollecitazione più recente di un suo amico «salettiano», Pierre Termier. Egli è consapevole ormai di avere un nome nel mondo letterario : «mon nom étant devenu quasi célèbre»33 e lo vuole impegnare nella battaglia a fa- vore del segreto di Mélanie, che egli definisce «la santa più calunniata della storia del cristianesimo». L’opera è un misto di acute annotazioni critiche sull’incredulità manifestata dalla società della sua epoca, come quando de- nuncia con la Madonna il lavoro domenicale – imposto soprattutto ai pove- ri – e la frequenza della bestemmia, divenuta quasi «une toge virile, même pour les femmes, un signe de force et d’indépendance, comme le tabac ou l’alcool»34 a critiche durissime contro i nemici di Mélanie, i missionari de La Salette. Di loro dice che la Vergine aveva chiesto degli apostoli, le sono stati dati degli albergatori35.

    Del resto, nelle pagine che aveva dedicato precedentemente a La Salet- te, scritte fra il 1879 e il 1880 su richiesta di Tardif de Moidrey con cui ave- va compiuto il primo pellegrinaggio proprio nel 187936, il tentativo di deci- frazione va oltre il messaggio, si estende ad ogni singolo elemento del- l’apparizione, che in quella prima fase gli appare collegata con la profezia di un’apocalisse, che molti occultisti, cristiani e non, avevano previsto per il 1880. Scrive infatti : «Le discours de La Salette a des sous-entendus terri- bles qu’il est à peine possible de formuler, mais que l’avenir dévoilera vrai- semblablement et qui s’interpréteront alors en taches de sang sur la pierre du foyer domestique [...]»37. Nel settembre 1880 Bloy si reca infatti nuova- mente a La Salette, in attesa della venuta del Paracleto, e rimane profonda- mente deluso dal fatto che non succede niente, tanto da rasentare la dispe- razione38.

    Tutti gli intellettuali devoti de La Salette sentono il bisogno di contrap- porre questa apparizione a quella di Lourdes. Huysmans aveva detto che a Lourdes era comparsa una Madonna per tutti, mentre quella de La Salette era per pochi; Bloy spiega : «je ne sens pas d’attrait vers une Immaculée Conception couronnée de roses, blanche et bleu, dans les musiques suaves et dans les parfums. Je suis trop souillé, trop loin de l’innocence, trop voi- sin des boucs, trop besogneux de pardon»39 ; e sceglie la Vergine stig-

     

     

    33 L. Bloy, Celle qui pleure, Parigi, 1938 (settima edizione), p. 21.

    34 Ivi, p. 13.

    35 Ivi, p. 14.

    36 Queste note sono state pubblicate dalla moglie Jeanne dopo la sua morte :

    L. Bloy, Le symbolisme de l’apparition (1879-1880), Parigi, 1925.

    37 Ivi, p. 157.

    38 Cfr. H. Multon, Le discours sur l’Apocalypse cit.

    39 L. Bloy, Celle qui pleure cit., p. 120.


     

    matizzata comparsa a La Salette. Del resto, già Dominique Vercruysse, nel- la sua contrapposizione fra La Salette e Lourdes era arrivato a dire che Lourdes era una contraffazione satanica dell’apparizione del 1846 a La Sa- lette40. Come Huysmans, de La Salette Bloy ama il dolore, il senso di solitu- dine che Maria rivela di fronte alla volgarità del mondo materialista del progresso. Gli intellettuali che si convertono a La Salette o intorno a La Sa- lette si sentono disperatamente estranei alla modernità. Bloy sempre pove- ro e disperato, pronto a mendicare pur di non entrare nel meccanismo mo- derno che designa il successo di uno scrittore, sa parlare al cuore di Raissa e Jacques, che avevano letto con profondo coinvolgimento, anche persona- le – Raissa era ebrea – il suo volume Le salut par les juifs e che avevano fat- to il giuramento di suicidarsi se non avessero trovato la via «per vivere se- condo la verità»41. Huysmans dopo aver cercato requie alla sua disperazio- ne nel mondo dell’occultismo, stava riscoprendo le emozioni della liturgia cattolica e della mistica, se pure malamente manipolate da Boullan. Massi- gnon, che anche per influenza di Huysmans troverà nella cattolica La Sa- lette quell’aspetto di misticismo e di mistero che cercava nei suoi studi sul sufismo, sarà molto esplicito nel preferire a Lourdes questa «clinica per i malati dell’anima», che non «convoca i saggi soddisfatti, ma gli inquieti, pesanti di lacrime segrete»42. Al papa che gli chiede qual è la ragione del suo attaccamento alla Madonna de La Salette, Maritain risponde : «c’est que la sainte Vierge a pleuré à La Salette, c’est à cause de ses larmes. Les larmes, ajoute Raissa, répondent bien à l’état actuel du monde»43.

    Un tema del segreto di Mélanie che sicuramente piaceva agli intellet-

    tuali era la condanna del clero, che mancava alle sue funzioni, per cui era necessario sostituirlo con un gruppo di eletti, gli «apostoli degli ultimi tem- pi»; l’interpretazione gnostica che offre questa devozione difficile, «per po- chi», venne accolta con entusiasmo da Bloy e da lui passata ai Maritain :

    «Non seulement l’ordre des Apôtres des derniers temps existera, mais je me persuade que nous sommes désignés pour faire partie de leur troupe»44.

    Mélanie parla più volte di questi eletti, destinati a combattere il male moderno, dicendo di avere ricevuto la regola di questo nuovo ordine che

     

     

     

    40 Citato in J. Marx, La Salette dans la littérature catholique cit., p. 102.

    41 J.-L. Barré, Jacques e Raissa Maritain. Da intellettuali anarchici a testimoni di Dio, Milano, 2000, p. 65.

    42 L. Massignon, Notre-Dame de La Salette cit., p. 19.

    43 L’incontro fra i Maritain e Benedetto XV è descritto dal filosofo nel suo Car- net de notes cit., p. 131.

    44 M.-J. Lory, La pensée religieuse de Léon Bloy, Parigi, 1951, p. 190.


     

    poi invece talvolta sembra un normale ordine religioso – direttamente da Maria. Al clero corrotto e indegno, ai missionari de La Salette divenuti vol- gari commercianti, gli intellettuali convertiti contrappongono la loro can- didatura di eletti, depositari della vera tradizione : la sicurezza con la quale tutti difendono Mélanie e il suo segreto, del quale si sentono gli unici e veri interpreti, coinvolge anche i meno ribelli, come Claudel e Maritain.

     

    Maritain

     

    L’atteggiamento tenuto da Jacques Maritain di fronte a La Salette è senza dubbio più complesso e meriterebbe un discorso a parte, che si potrà fare solo quando sarà possibile leggere la sua difesa dell’apparizione e di Mélanie, composta fra il 1917 e il 1918, consegnata a Benedetto XV e da lui trasmessa al cardinale Billot. Questi la restituirà a Maritain, dopo averne proibito la diffusione, e sarà Maritain stesso, allora ambasciatore presso la Santa Sede, a riconsegnarla al sostituto della Segreteria di Stato Giovanni Battista Montini per impedire ulteriori provvedimenti contro la devozione salettiana, dopo avere constatato con dolore che l’anniversario dei cent’an- ni dell’apparizione era stato celebrato in sordina, in assenza di un inviato di papa Pio XII. Nella lettera d’accompagnamento che invia a Montini, il fi- losofo ricorda come «l’intérêt pour La Salette est aussi pour moi comme une tradition de famille»45, perché suo nonno Jules Favre aveva sostenuto nel 1857 la difesa di demoiselle Lamerlière, accusata di avere finto d’essere la Madonna, e quindi facendo risalire il suo legame con l’apparizione alla famiglia invece che a Bloy. Riprende poi la critica dei padri missionari de La Salette – già avanzata da Bloy – per la loro lunga battaglia contro il se- greto e contro Mélanie : «or il est clair qu’en discréditant le témoin on ne peut pas ne discréditer le témoignage sur lequel la valeur historique de l’ap- parition elle-même est fondée». Maritain riuscirà comunque a salvare la devozione nell’apparizione, dando prova ancora una volta di come l’appor- to degli intellettuali abbia svolto un ruolo importante – nel bene e nel male – nei confronti della devozione salettiana46.

     

     

    45 La lettera, conservata negli archivi Maritain, è riportata da M. Corteville, La

    «Grande Nouvelle» des Bergers de La Salette cit., p. 424.

    46 Un altro significativo intervento di Maritain fu rivolto a Montini in una lettera del 12 aprile 1948, nella quale tra l’altro l’allora ambasciatore di Francia presso la Santa Sede alludeva «aux intentions et aux demandes que la Sainte Vierge a réité- rées depuis un siècle d’une façon si pressante et si significative» a proposito del- l’auspicio formulato da «quelques personnes» perché il papa consacrasse la Russia al Cuore Immacolato di Maria. E continuava : «Mais comme votre Excellence le sait


     

    Maritain – che ha sempre sostenuto di avere ricevuto personalmente una grazia dalla Madonna de La Salette, cioè la guarigione di Raissa da una grave malattia nel 1916 – si manterrà fedele fino in fondo alla difesa di questa apparizione, compito in qualche modo ricevuto dal suo padrino Bloy, pur profondamente consapevole della differenza fra lui stesso – «j’ai peu de goût pour le merveilleux»47 – e il suo irruente ispiratore : Bloy, per dirla con le sue parole, voleva soprattutto «donner l’idée et l’impression du mystère». Anche se cercherà sempre di mantenersi fedele a Bloy ripropo- nendo la pubblicazione di brani scelti dello scrittore a cui doveva la conver- sione sua e della moglie Raissa, non mancherà mai di segnalare la distanza che intercorre fra loro : «il y a des âmes périssantes qui cherchent la beau- té dans les ténèbres»48. Nella corrispondenza che il filosofo francese tiene con Billot a proposito de La Salette questa distanza sarà sostenuta ancora più esplicitamente : dopo avere ricordato che Bloy è stato autore della sua conversione, egli ricorda «la tendre affection que je lui ai toujours gardée mais j’aurais horreur de passer pour ‘son disciple’». Ma, continua, «il y a sur bien des aspects de sa pensée, comme sur certaines de ses attaques per- sonnelles les plus expresses réserves à formuler et nous n’évitions de nous heurter qu’en écartant soigneusement certaines questions. La Sainte Vierge l’a protégé contre toute désobéissance au dogme mais il avait la mentalité

     

     

    bien, c’est l’événement de la Salette, et le message que la Sainte Vierge y a confié à Mélanie et le désir qu’elle y a exprimé de voir surgir un nouvel ordre religieux, qui me semblent mériter une attention spéciale. Assurément les révélations particulières sont toujours sujettes à caution, et même authentiques ce n’est pas en elles qu’il faut chercher une règle d’action. Cependant il n’est pas bon de ‘mépriser les prophéties’, et quand elles sont authentiques elles sont comme des signaux avertisseurs pour les jugements que selon les règles de la prudence la raison a à former. Devant la simple possibilité que la Sainte Vierge ait donné une mission et transmis un message spé- cialement grave à la voyante sur le témoignage de laquelle l’Église a admis le culte public de Notre Dame de la Salette, il me semble effrayant que depuis la divulgation du message secret aucune enquête n’ait été instituée aux fins de savoir si les affirma- tions qu’au prix de longues persécutions Mélanie a soutenues jusqu’à sa mort méri- taient ou non créance. C’est pourquoi je crois que l’examen de l’événement de la Sa- lette en son intégrité, et tout d’abord de la vie de Mélanie, pour juger si elle a été une sainte ou une hystérique, ne serait pas aujourd’hui sans particulière importance». Il testo completo della lettera è pubblicato sulla base della minuta manoscritta con- servata nell’archivio Maritain di Kolbsheim – in P. Chenaux, Paul VI et Maritain. Les rapports du «montinianisme» et du «maritanisme», Brescia-Roma, 1994, p. 104-110 (cit. a p. 108).

    47 J. Maritain, À propos de Léon Bloy et La Salette, in L. Massignon, La Salette.

    Témoignages cit., p. 87-92.

    48 Pages de Léon Bloy, choisies par Raissa Maritain et presentées par Jacques Maritain, Parigi, 1951, p. 7.


     

    des vieux gnostiques chrétiens»49. E ancora, sempre allo stesso mittente :

    «J’insiste sur ce point avec la plus grande énergie. La cause de Notre-Dame de La Salette n’a absolument rien à voir avec Léon Bloy. Il y a autant de distance entre les deux questions qu’entre le ciel et la terre»50.

    Non possiamo, però, pensare che Maritain ignorasse le derive esoteri- che ed eretiche di questa devozione, anche al di là del ruolo chiave di Bloy. Nel 1948, infatti, il carmelitano Bruno de Jésus Marie – anch’egli scrittore convertito e amico dei Maritain51, che aveva fatto loro da tramite per l’in- contro con Benedetto XV e con il cardinale Billot durante il primo viaggio a Roma nel 1917, tanto che la sua biografia di Giovanni della Croce sarà preceduta da una prefazione di Jacques – nella rivista fítudes carmélitaines che dirige riproduce, in un numero monografico su Satana, una parte della confessione manoscritta di Boullan, seguita da un’analisi grafologica e da una psicologica scritte da due esperti. Nella sua nota introduttiva, lo stu- dioso carmelitano rivela di avere avuto accesso alle confessioni scritte dal satanista mentre era prigioniero nelle carceri pontificie nel 1869 e conser- vate nella Biblioteca Vaticana52 insieme con la relazione del miracolo di guarigione di Adèle Chevalier a La Salette. Bruno de Jésus Marie riconduce la radice delle teorie di Boullan alle credenze gnostiche che vedevano lo Spirito Santo come principio femminile della divinità e ne segue l’influen- za nella setta polacca dei mariaviti, fondata nel 1906 dal prete cattolico sco- municato Jan Kowalski e dalla visionaria Maria Francesca (Felicia) Koz- lowska, religiosa francescana, per influenza di alcuni fedeli di Boullan di- spersi dopo la morte di quest’ultimo. Con la Chiesa mariavita, scrive lo studioso, «le rêve de Boullan est réalisé» : intorno a una donna «incarna- zione della santa Vergine» si sarebbe realizzata la salvezza del genere uma- no per gli «ultimi tempi» che si avvicinavano. I mariaviti presto accolti dai Vecchi Cattolici ma da essi condannati nel 1924, quando la setta polac- ca contava centinaia di migliaia di seguaci – sono collegati all’apparizione de La Salette, come prova anche la documentazione conservata tra le carte

     

     

    49 Lettera di Maritain al cardinal Billot del 4 luglio 1918, citata in M. Corteville,

    La «Grande Nouvelle» des Bergers de La Salette, p. 419.

    50 Ivi, p. 420.

    51 Su Bruno de Jésus Marie (Jacques Froissart) cfr. Gérard de la Trinité, Note biographique. Le père Bruno de Jésus Marie, in fítudes carmélitaines, XLIV, 1964, p. 7- 53, e M.-F. James, físotérisme, occultisme franc-maçonnerie et christianisme aux XIXe et XXe siècles, Parigi, 1981, p. 56-58. Dell’amicizia fra Bruno de Jésus Marie e i Mari- tain parla N. Possenti Ghiglia in I tre Maritain, Milano, 2000.

    52 Cfr. Bruno de Jésus Marie, La confession de Boullan (seguito da S. Bresard, fítude graphologique, e da J. Vinchon, fítude psychiatrique), in fítudes carmélitaines, XXVII, numero dedicato a Satan, 1948, p. 420-426.


     

    del Sant’Uffizio, dove figurano infatti due lettere in difesa del segreto e di Mélanie firmate con lo pseudonimo di dottor Mariavé. Nonostante, quindi, il carmelitano riconosca la deriva eretica della devozione salettiana, grazie al metodo – «moderno» e «scientifico» più che teologico – con cui affronta la sua fonte, cioè le confessioni di Boullan, il testo viene riconosciuto dagli esperti come originato da «tendenze perverse» e «paranoiche», opera quin- di di un disadattato cronico. Il satanista viene così ridotto a malato menta- le e la devozione mariana de La Salette risulta sgombra da ogni influenza occultista.

     

     

    Conclusioni

     

    La Salette costituisce un caso veramente particolare fra le apparizioni mariane ottocentesche : un santuario montano e tradizionale, destinato a prima vista alla devozione popolare, che diventa centro dell’interesse degli intellettuali ed è coinvolto in molte importanti conversioni perché circon- dato da un’aura esoterica, se non occultista. I missionari salettiani, che fanno da più di un secolo un attento lavoro di «purificazione» della memo- ria del santuario, hanno cercato di cancellare tutte le tracce di questa stra- na vicenda, o di «addomesticarle», come ha fatto Stern con Bloy.

    Invece questo intreccio si rivela particolarmente interessante per lo studio del complesso rapporto fra devozione mariana e modernità e più in generale per la reazione del cattolicesimo di fronte alla secolarizzazione ot- tocentesca che spesso ha preso le tinte fosche dell’esoterismo e dell’occulti- smo. Una devozione, quella salettiana, che si qualifica subito come antimo- derna, baluardo contro la secolarizzazione, e che paradossalmente viene letta in ambienti esoterici come la risposta alla speranza di un messia don- na, di un rinnovamento dei tempi grazie ad una figura femminile apocalit- tica. Gli ambienti che cercano veggenti e mistiche, che sono pronti a crede- re alla leadership spirituale di donne come Hélène Blavatskij, che vogliono rigenerare la società dando un nuovo ruolo alle donne, trovano il loro cen- tro comune in questa apparizione mariana. Alla Madonna che si pronuncia esplicitamente contro la secolarizzazione succede paradossalmente di di- ventare oggetto di devozione delle sette frutto di questo processo, nate dal- la paura dell’incredulità, dalla solitudine che spaventa gli uomini quando si trovano in un mondo senza Dio. Ed è quasi incredibile che, nonostante tut- to questo pasticcio che fa pensare addirittura a una devozione dal segno in- vertito, più d’uno si sia convertito sul serio.

    Lucetta SCARAFFIA

    0

    Añadir un comentario

  2.  Papa Francisco o el triunfo de la teología dialéctica

     No nos referimos a la teología dialéctica del protestante Karl Barth, que es la que refieren los textos católicos, ni sugerimos que Francisco sigue esa teología. Hablamos de teología dialéctica en su sentido más amplio, no como una escuela u otra, sino como el conjunto de la teología que no es tomista y sigue el método iniciado por el filósofo Blondel.

     

    Antecedentes: la huella del “método Blondeliano” en la teología dialéctica

    Para comprender la culminación que supone el pontificado de Francisco dentro de la línea “dialéctica” del pensamiento católico, es necesario remontarse a la figura de Maurice Blondel (1861-1949). Aunque ya se habían planteado algunos elementos dialécticos en la escolástica y en la confrontación con las filosofías modernas, fue Blondel quien, con su “Filosofía de la acción”, sentó las bases de una teología que vería en la tensión entre naturaleza y gracia, finitud e infinito, un componente ineludible de la experiencia cristiana.

    El método de la inmanencia

    En su obra L’Action (1893, revisada en 1898), Blondel se propuso dialogar con la modernidad filosófica (influida por Kant, Hegel o el positivismo) partiendo de la acción humana como espacio privilegiado para descubrir la apertura del hombre a lo Sobrenatural. Su método consiste en mostrar que la autonomía e intencionalidad del obrar humano apuntan más allá de sí mismas; es decir, la “inmanencia” evidencia la necesidad de un “más allá” que la sostenga y la corone.

    Tensión entre lo finito y lo infinito

    Blondel veía la libertad humana como un drama interno, pues desea lo absoluto pero no puede alcanzarlo con fuerzas puramente naturales. Esa tensión -“dialéctica” en sentido amplio- conduce a plantear la relación indisoluble entre la gracia y la libertad. Así, todo el pensamiento blondeliano se articula alrededor de un “choque” permanente que, lejos de disolverse en un relativismo, ha de abrirse a la fe y a la Revelación.

    Influencia en la Nouvelle Théologie

    Aunque Blondel no era estrictamente un “teólogo”, sus tesis suscitaron admiración en Henri de Lubac, Gaston Fessard, Jean Daniélou y otros jesuitas de Lyon-Fourvière. Ellos vieron en él una vía para superar la escolástica de manual y conectar con la sensibilidad de los hombres y mujeres de la época.

    De Lubac, en Surnaturel, heredó la idea de que la naturaleza humana anhela lo sobrenatural; Fessard llevó la “dialéctica” de Blondel a la espiritualidad ignaciana y mostró cómo la conversión del hombre se articula en la confrontación entre el pecado y la llamada de Cristo.

    Un método que abre la puerta a la “Iglesia en diálogo”

    La acción y la historia, tal como las concibe Blondel, ofrecen a la teología del siglo XX una justificación intelectual para incorporar categorías filosóficas modernas en la reflexión cristiana, siempre con la esperanza de “bautizarlas”. Este espíritu, proseguidor de la apologética tradicional, desembocará en la voluntad de la Iglesia posconciliar de dialogar con el mundo y de reconocer la dignidad de la autonomía secular, aunque, como se verá, a veces se extralimite.

    Con el “método Blondeliano” como matriz, la teología dialéctica adquirió una forma más sistemática: se asimiló en las corrientes de la Nouvelle Théologie, se revalorizó en pensadores como Romano Guardini (con su acento en los “opuestos polares”) y, finalmente, llegó a inspirar a pastores formados en ese ambiente. Entre ellos, el joven Jorge Mario Bergoglio, quien se sintió atraído por la concepción de la realidad en claves tensionales, heredadas -directa o indirectamente- de Blondel, Fessard y Guardini.

    Del planteamiento dialéctico al actual pontificado

    Con estos antecedentes blondelianos en mente, podemos entender cómo la teología dialéctica (en sus distintas ramificaciones) fue marcando la formación de numerosos teólogos y pastores posconciliares. Jorge Mario Bergoglio, siendo jesuita, asimiló la visión de Gaston Fessard (dialéctica de los Ejercicios) y se interesó por Romano Guardini (opuestos polares). De ahí parte su enfoque de la realidad como tensiones dinámicas que se resuelven pastoralmente.

    En la óptica de ciertos críticos, el pontificado de Francisco representaría una especie de “coronación” o “triunfo” de esa teología dialéctica, en lo que ven como versiones más ambivalentes o incluso “desviadas”. No tanto porque la dialéctica per se sea nociva, sino porque -según esta línea- el Papa estaría llevando al extremo ciertas consecuencias pastorales y metodológicas que desembocan en ambigüedad doctrinal, confusión moral y una excesiva “apertura” a las categorías mundanas.

    Rasgos dialécticos en el estilo de Francisco

    La polaridad como método pastoral

    En documentos como Evangelii gaudium, Laudato si’ o Querida Amazonia, Francisco describe la realidad en términos de tensiones (centro-periferia, tiempo-espacio, realidad-idea, unidad-conflicto). Quienes valoran positivamente esta aproximación la consideran un modo creativo de recoger la complejidad contemporánea. Sin embargo, los críticos advierten que, en la práctica, se alienta la persistencia de ambigüedades que agravan las divisiones eclesiales.

    Inclinación a la “realidad” sobre la doctrina

    Un lema recurrente de su pontificado es “la realidad es superior a la idea”. Esto, enlazado con la ley de la Encarnación (Guardini) y el método de la acción (Blondel), privilegia soluciones pastorales “caso por caso” por encima de la norma universal. Mientras sus defensores aplauden la “misericordia” y el “discernimiento”, sus detractores denuncian un relativismo moral creciente que socava la claridad de la ley divina en asuntos de fondo.

    Tensión entre apertura al mundo y defensa de la Tradición

    El Papa aboga por una Iglesia misionera en continuo diálogo, pero en ocasiones, frente a temas sociales o morales, mantiene un silencio interpretado como complicidad con la mentalidad secular. Para los críticos, ello refleja la peor deriva de la dialéctica: la síntesis indefinida entre criterios mundanos y la fe católica.

    Peores derivadas: confusión, polarización y mundanización

    Según estos críticos, la “victoria” de la dialéctica en el actual pontificado desemboca en tres grandes problemáticas:

    Ambigüedad doctrinal y moral

    Textos como Amoris Laetitia han sido señalados por su redacción ambigua, permitiendo que se interprete de modos divergentes la posibilidad de acceso a los sacramentos para divorciados vueltos a casar. Con el argumento de un “discernimiento” personalizado, se corre el riesgo de relativizar la norma universal y sembrar confusión en la disciplina eclesial.

    Desdibujamiento de la identidad católica

    Al priorizar el diálogo y evitar condenas explícitas, se teme que se fomente el sincretismo y la asunción de categorías no católicas (panteísmo ecológico, sentimentalismo interpersonal, etc.). Así, la dimensión sacrificial y sobrenatural del culto quedaría relegada en favor de la “horizontalidad” y la innovación litúrgica, como algunas corrientes ya habían mostrado en las décadas anteriores.

    Polarización creciente dentro de la Iglesia

    Lejos de lograr una unidad superadora de los polos opuestos, el pontificado ha enfatizado todavía más las tensiones, generando una fractura entre “progresistas” y “tradicionalistas”. La falta de definiciones claras, sostienen los críticos, alimenta el desconcierto y la pugna de poder entre distintas visiones eclesiales.

    Un pontificado de síntesis o de fractura

    Para quienes respaldan a Francisco, él encarna la versión más genuina de la teología dialéctica: una Iglesia que entiende la “verdad” no como un bloque inamovible, sino como un camino que acompaña las situaciones reales, iluminándolas con la misericordia. Sería, pues, la consumación pastoral de la apuesta blondeliana: partir de la experiencia y de la acción humana para conducir al encuentro con Dios, evitando rigideces y condenas.

    Sus críticos, en cambio, ven este “triunfo” como la exacerbación de la “dialéctica” hasta el punto de quiebre. Lo que fue un método legítimo para actualizar la teología se habría traducido en relativismo y moral de situación, con una “Iglesia en salida” pero vaciada de contenido doctrinal. Denuncian que, en temas medulares (familia, sacramentos, moral sexual), el relativismo pastoral erosiona la certeza católica y siembra caos.

    Evaluando los “frutos” del “triunfo” dialecticista

    Si tomamos el criterio de “por sus frutos los conoceréis”:

    ¿Retorno masivo a la Iglesia? La asistencia dominical y la práctica sacramental no parecen recuperarse de la fuerte crisis en Occidente. La descristianización prosigue y no se constata un “efecto Francisco” masivo en términos de conversiones o vocaciones.

    ¿Unificación de los fieles? La polarización se ha intensificado en la Iglesia. El diálogo propuesto no siempre ha producido una mayor comunión, sino que ha generado tensiones inéditas, con pastores y teólogos pidiendo aclaraciones (los famosos dubia) sin recibir respuestas definitivas.

    ¿Clarificación doctrinal y fortaleza en la misión? Muchos fieles manifiestan confusión sobre temas cruciales (matrimonio, bioética, sacramentos), y sectores católicos en diversas regiones se ven divididos entre quienes exigen continuidad con el magisterio previo y quienes se acogen a interpretaciones más rupturistas de las recientes exhortaciones papales.

    Entre la sombra de Blondel y los desafíos actuales

    La genealogía de la teología dialéctica, desde Blondel hasta Francisco, muestra un deseo original de dialogar con la modernidad, recuperar la acción y la historia como lugares teológicos y acercar el cristianismo a la sensibilidad contemporánea. Sin embargo, la realidad eclesial de hoy —con descristianización, confusión doctrinal y pugnas internas— pone en entredicho la forma en que se ha aplicado este método. ¿Es la dialéctica en sí la causa, o son sus deformaciones e interpretaciones abusivas las responsables de la crisis?

    Los defensores de Francisco sostienen que este pontificado representa la culminación virtuosa de la “dialéctica” blondeliana, centrada en la misericordia y la ternura pastoral. Los críticos, por su parte, advierten que el “triunfo” de tales propuestas, sin anclajes doctrinales claros, acelera la secularización interna y la fragmentación de la Iglesia. Así pues, la controversia se mantendrá mientras no haya una clarificación que devuelva la dialéctica a su cauce legítimo: el de un diálogo con la cultura que conserve íntegra la verdad católica.

    En definitiva, la huella de Blondel y de la corriente dialéctica permanece al centro de la disputa sobre la identidad de la Iglesia en el siglo XXI, encarnada hoy en la figura del papa Francisco. La historia futura dirá si la tensión se resolverá en una verdadera renovación o si, por el contrario, desencadenará nuevas fracturas eclesiales.

    Perspectiva mariana frente a la teología dialéctica: conversión y claridad sobrenatural

    La llamada “teología dialéctica” enfatiza la tensión entre lo humano y lo divino, explorando procesos históricos, “síntesis” de opuestos y nuevas formas de diálogo con la modernidad. Sin embargo, los mensajes marianos —sea en Garabandal, en las locuciones al P. Gobbi o en otras apariciones reconocidas u objeto de devoción popular— presentan un lenguaje radicalmente diferente. No parten de disquisiciones filosóficas o de elaboradas mediaciones conceptuales, sino que brotan de la mismísima voz de seres celestiales (la Virgen, o a veces el Señor o ángeles), quienes, según el testimonio de los videntes, no se internan en matizaciones teológicas sofisticadas ni en análisis históricos, sino que ofrecen un anuncio sencillo, urgente y trascendente.

    Estos mensajes giran en torno a:

    Conversión personal e inmediata: Están llenos de llamadas al arrepentimiento, a cambiar de vida y a volver al Evangelio sin retrasos ni excusas.

    Oración intensa, especialmente el rosario: La Virgen insiste una y otra vez en rezar el rosario diario, la Eucaristía, la confesión frecuente y la devoción sincera al Inmaculado Corazón.

    Sacramentos como núcleo de la vida cristiana: Lejos de relativizar la liturgia o los mandamientos, los mensajes marianos recalcan la importancia de la Santa Misa, la adoración eucarística y la fidelidad al Magisterio de la Iglesia.

    Advertencias apocalípticas y profecía sobre el futuro: No en el sentido de alimentar el miedo o la curiosidad mórbida, sino para subrayar que la persistencia en el pecado y en la tibieza interna dentro de la Iglesia traerá purificaciones o castigos divinos, entendidos como llamados a la consciencia y a la salvación.

    Este estilo contrasta con la teología dialéctica, que a menudo pone el acento en el devenir histórico, la “evolución” de la comprensión teológica y la tensión de opuestos que pugnan por alcanzar una verdad mayor. Mientras los teólogos “dialécticos” discuten sobre naturaleza-sobrenatural, gracia-libertad, historia-revelación, etc., los mensajes marianos son directos y sin matizaciones especulativas: piden rezar, convertirse, participar de los sacramentos y evitar la autodestrucción que sobreviene cuando se cede al espíritu mundano o se desatiende la Palabra divina.

    En ese sentido, podría decirse que los mensajes marianos representan una claridad sobrenatural, de fuente celeste, que va al corazón de la fe y a lo esencial de la vida cristiana. No hay largos argumentos; hay, en cambio, un lenguaje de madre que aconseja e implora a sus hijos, recordándoles que solo hay un camino seguro: el amor a Dios, la coherencia con el Evangelio y la perseverancia en la Tradición de la Iglesia. En caso de no atender a estas advertencias, la misma Madre indica la posibilidad de un escenario apocalíptico —purificaciones, crisis mundiales, pérdida de almas— en el que se hace evidente que no bastan los “discursos” si no se abraza la verdad y la penitencia con fe profunda.

    Para muchos fieles, esta sencillez mariana y su insistencia en los medios fundamentales (rosario, conversión, sacramentos) resultan especialmente luminosas frente a la complejidad y, a veces, la ambigüedad de algunas corrientes teológicas contemporáneas. Así, mientras la teología dialéctica busca atraer al hombre moderno articulando tensiones y nuevas síntesis, la Virgen, en sus mensajes, parece sugerir que la verdadera renovación no nacerá de disertaciones prolongadas, sino de la sincera transformación del corazón, arraigada en la oración y en la fidelidad a la Verdad inmutable de Cristo. Esta perspectiva mariana, en definitiva, es la de quien contempla desde la luz de Dios y, por ello, habla sin rodeos: o se escucha la voz del Cielo y se toman medidas concretas de reforma interior, o las consecuencias serán mucho más graves que cualquier desacuerdo teórico entre escuelas teológicas.

    0

    Añadir un comentario

  3. Es conocida la trayectoria de Henri de Lubac primero marginado por lo que algunos entendieron incomprension de sus ideas, lo que implicaba al mismo papa Pio XII, para ser luego rehabilitado al punto de hacerlo guía del Concilio Vaticano II, y de que incluso Juan Pablo II dedicara en su enciclica Fe y razón una rehabilitación del inspirador primero de Henri de Lubac, Blondel, en su momento también refutado sin miramientos por San Pío X. Sin embargo hay cuestiones problemáticas que subsisten, al menos para poder explicar como los textos limpios del Concilio fueran seguidos por el rupturismo y la secularizacion posconciliar empezando por toda una generación de teólogos desde entonces.

    Es cierto que los textos finales del Concilio, como Gaudium et Spes, son sólidos desde un punto de vista doctrinal cuando se leen con un ojo crítico y fundado. Están enraizados en la tradición y contienen un lenguaje cuidadoso para mantener la ortodoxia. Sin embargo, el proceso de redacción, marcado por influencias filosóficas y teológicas no siempre visibles o reconocidas, generó un subtexto de prácticas intelectuales y metodológicas que tuvieron un impacto más amplio que el propio contenido explícito del texto. Estas dinámicas incluyen la selección de redactores como Pierre Haubtmann, cuyo mérito principal era su monumental obra sobre uno de los padres fundadores del anarquismo, Proudhom, no eran evidentes para la mayoría de los participantes, pero que jugaron un papel significativo en el tono y la orientación del texto. Haubtmann fue llevado a estudiar a Proudhon por Henri de Lubac, quien ya había explorado el pensamiento del socialista francés utilizando su método apologético basado en la inmanencia, un enfoque que aplicó también a otros autores humanistas y ateos. Este método buscaba encontrar "puentes" en las aspiraciones éticas y filosóficas de autores no cristianos.

    El subtexto generado por estas influencias fue menos vigilado y quedó abierto a interpretaciones amplias, dando lugar a una psicología intelectual teológica que priorizaba el diálogo y la integración con corrientes externas, abriendo una caja de pandora, en consecuencias bien conocidas.

    Esta actitud generó una herencia psicológica en muchos teólogos y líderes eclesiales del posconcilio: la percepción de que era legítimo el dialogo textual de ideas como método apologéticoEn la práctica, esta dinámica creó un marco permisivo en el que el método implícito que guió los escritos en el Concilio se expandió de manera descontrolada, dando lugar a corrientes de pensamiento que se alejaron de la tradición no ya humana sino divina.

    Aunque los textos finales, como se ha señalado, son impecables desde un punto de vista doctrinal, la ambigüedad y las dinámicas ocultas en su redacción facilitaron lecturas que no respetaban la intención original del Concilio. Esto creó un espacio para lo que algunos han denominado "heterodoxia posconciliar": una interpretación del Concilio que, en lugar de reforzar la tradición, promovió una ruptura percibida con ella. Más que el contenido explícito, fueron las prácticas intelectuales subyacentes las que definieron el legado del posconcilio. Esto incluye una metodología que priorizaba la integración de ideas externas sobre la claridad doctrinal y una psicología que veía en el Concilio una "vía libre" para explorar sin límites. Estas dinámicas no solo influyeron en el posconcilio inmediato, sino que también moldearon generaciones posteriores de teólogos y líderes pastorales. La idea de que la fe podía ser enriquecida por un diálogo "constructivo" con cualquier corriente filosófica o teológica se convirtió en una práctica común, incluso cuando ello comprometía la integridad doctrinal poniendo de relieve lo que toda la espiritualidad ya conocía: no se debe dialogar con la serpiente so pena de recoger frutos envenenados.

     El enfoque apologético de Henri de Lubac, inspirado en Maurice Blondel y su método de inmanencia, ha sido objeto de críticas fundamentales, especialmente en lo que respecta a su eficacia para dialogar con pensadores humanistas ateos y post-cristianos en sus propios textos. Este método, que buscaba conectar la fe cristiana con las inquietudes más profundas de la naturaleza humana mediante un lenguaje filosófico común, parece haber tenido limitaciones significativas, particularmente en relación con aquellos que habían adoptado una postura deliberada de rechazo al cristianismo.

    El problema principal radica en que los pensadores humanistas ateos, como Nietzsche, Marx o Proudhon, no sólo rechazan a Dios, sino que construyen sus sistemas filosóficos como una oposición explícita al cristianismo. Estas posiciones no son meramente agnósticas o de duda sincera, sino que reflejan una postura ya tomada, una especie de apostasía deliberada que implica un rechazo activo y consciente del cristianismo como etapa superada o incluso como enemigo. Pretender que los que asumen ese pensamiento, haciendo como que están en un malentendido y puedan ser atraídos hacia la fe simplemente mediante un diálogo filosófico que les muestre la razonabilidad del cristianismo, es una presunción que ignora tanto la naturaleza de su postura como la dinámica espiritual de la conversión.

    La fe no se inyecta a través de argumentaciones ni de estrategias intelectuales. Es un don gratuito de Dios que solo puede ser recibido si el terreno del corazón está preparado para acogerlo. Sin embargo, los humanistas ateos suelen representar un terreno profundamente condicionado por su rechazo explícito a Dios, lo que dificulta cualquier apertura genuina a la trascendencia. En este sentido, el método de de Lubac parece subestimar la dimensión espiritual y sobrenatural de la conversión, confiando en exceso en la capacidad de la razón humana para abrir camino a la fe.

    El riesgo del método inmanentista también radica en la posibilidad de reducir el cristianismo a una mera respuesta a las inquietudes humanas. Al intentar encontrar puntos de contacto con el pensamiento ateo, se corre el peligro de horizontalizar la fe, subordinándola a las categorías de la razón y perdiendo su dimensión trascendental. Esto no solo puede llevar a una dilución del mensaje cristiano, sino que también puede resultar en una falta de frutos concretos, como se ha observado históricamente. No hay evidencia sustancial de que pensadores humanistas ateos o sus discípulos hayan sido atraídos por este enfoque apologético, lo que refuerza la impresión de su ineficacia práctica.

    El único resultado visible del método de de Lubac 

    Fue alentar la convicción de que la Iglesia ya no podría oponerse por principio al humanismo ateo, al reconocer elementos válidos en él. Esta postura, que pretendía seguir el modelo histórico de integración del pensamiento griego en el cristianismo, terminó produciendo un efecto diferente y peligroso: lejos de integrar lo valioso del humanismo ateo de manera ordenada, inficionó la propia teología, generando una tendencia entre los teólogos posconciliares a explorar acríticamente lo "bueno" de los modernos sistemas de pensamiento que son consustanciales al terreno del ateísmo. En lugar de fortalecer la doctrina, este enfoque debilitó la claridad teológica y favoreció un relativismo que diluyó la identidad doctrinal de la Iglesia en algunos sectores.

    La apologética, aunque valiosa para clarificar la fe y fortalecer a los creyentes, tiene límites claros cuando se enfrenta a aquellos que han adoptado una postura hostil o irreductiblemente racionalista. La conversión no es fruto de una buena argumentación filosófica, sino de la acción de la gracia en un corazón dispuesto. Pretender que reflexionando filosóficamente estos pensadores cambiarán de posición parece una empresa destinada al fracaso, pues la gracia opera en un plano que trasciende las capacidades humanas.

    Históricamente, el cristianismo ha encontrado su mayor poder de atracción no en el discurso filosófico, sino en el testimonio auténtico de los creyentes. La santidad de vida, el amor radical y la coherencia de las acciones son herramientas mucho más poderosas para abrir los corazones que cualquier esfuerzo por hablar el lenguaje filosófico que los ateos pensadores no puedan evitar. Es el testimonio personal, no el razonamiento abstracto, lo que a menudo genera una apertura hacia la gracia y la fe.

    En conclusión, aunque el método apologético de de Lubac tenía la intención de tender puentes entre la fe y la razón, su eficacia para atraer a pensadores humanistas ateos es muy limitada. Estos individuos no solo rechazan la fe, sino que se sitúan en una posición diametralmente opuesta a ella, haciendo casi imposible que un diálogo filosófico pueda resultar en conversión. Además, al fomentar la aceptación acrítica de elementos válidos en el pensamiento ateo, el método contribuyó indirectamente a la confusión teológica en el período posconciliar, llevando a una tendencia desordenada de explorar y adoptar aspectos de sistemas filosóficos modernos incompatibles con la fe. Esto subraya la necesidad de revalorizar la centralidad de la gracia, la evangelización directa y el testimonio personal como las herramientas principales para transmitir el mensaje cristiano al mundo. La fe no depende de argumentos, sino de una apertura al don de Dios, algo que ningún método filosófico puede garantizar.

    0

    Añadir un comentario

  4.  

    El modernismo y la subjetividad en la experiencia religiosa mediante el arte

    El modernismo, como movimiento teológico y filosófico, intentaba reconciliar la fe con las corrientes filosóficas y científicas modernas y desde luego con el llamado arte contemporáneo tan valorado en los medios de élite intelectual. Una de sus características principales era la enfatización de la experiencia religiosa individual como mediadora de la fe, en lugar de una verdad objetiva revelada que se transmite a través de la tradición y el magisterio de la Iglesia. Esto condujo a una percepción de la religión como algo más personal y emocional, y menos ligado a los dogmas inmutables.

    En el arte, esta mentalidad se puede reflejar en la libertad creativa que algunos artistas y comisionistas modernos reclaman, priorizando sus propias interpretaciones subjetivas de los misterios de la fe, muchas veces en detrimento de la claridad que caracteriza al arte sacro tradicional. Aceptar esta subjetividad por muy genio artístico que haga la obra sin un discernimiento crítico, convierte a la subjetividad individual un criterio universal, imponiendo una visión personal a toda la comunidad de fieles, lo que recuerda las advertencias de la Iglesia sobre los peligros del modernismo.

     



     

    Arte modernista como una “apologética” mal dirigida

    En obras como la escultura de La Resurrección de Fazzini o los 14 apóstoles de Oteiza, situadas respectivamente en el Vaticano y en la basílica de Aránzazu, se adivina una justificación apologética por parte de los comisionistas eclesiásticos, de que la Iglesia no está en contra del mundo moderno, en un intento de demostrar la relevancia de la Iglesia en una época dominada por el arte contemporáneo y la cultura secular. Sin embargo, esta especie de "apologética moderna” se esfuerza por ofrecer pruebas de una supuesta apertura de la Iglesia al mundo moderno, incluso a expensas de un sentido básico de la fe.

    Algunos puntos que ilustran esta problemática son:

    Falsa conciliación con el mundo moderno: En lugar de dialogar críticamente con la cultura moderna, algunos comisionistas de arte sacro cayeron en una actitud de sumisión a las tendencias contemporáneas, permitiendo que el subjetivismo artístico totalitario se infiltre en el corazón de la representación religiosa. Este esfuerzo por "modernizar" la Iglesia a través del arte, sin discernimiento adecuado, puede dar lugar a confusión y, en última instancia, erosionar la comprensión ortodoxa de la fe.

    Imposición de la experiencia subjetiva: El arte sacro siempre ha tenido la misión de ser catequético y simbólicamente claro. Sin embargo, cuando los artistas imponen sus experiencias y visiones personales sin tener en cuenta la tradición y las necesidades espirituales de la comunidad, se corre el riesgo de privatizar el arte religioso, haciendo que las representaciones de los misterios cristianos reflejen más al artista que a la realidad trascendente que deberían expresar. En este sentido, el modernismo se infiltra al priorizar la subjetividad individual por encima de los significados universales de los símbolos religiosos.

    Impacto en la comunidad de fieles

    El problema de esta subjetividad impuesta es que puede tener un efecto negativo en la comunidad de fieles, especialmente si estas obras ocupan un lugar central en espacios de encuentro y devoción. Cuando el arte religioso se aleja demasiado de la claridad simbólica y teológica, los fieles pueden quedar desorientados o incluso alienados, ya que no logran conectarse espiritualmente con las imágenes y esculturas que deberían inspirar devoción y contemplación.

    Confusión doctrinal: Obras que no respetan las narrativas tradicionales del cristianismo, como los 14 apóstoles de Oteiza o el Cristo resucitando en medio de una explosión nuclear, han generado malestar y perplejidad. En lugar de ser un medio claro de transmisión de la fe, el arte religioso que se vuelve demasiado personal o subjetivo corre el riesgo de desviar su función catequética, impidiendo que los fieles puedan aprender y meditar adecuadamente sobre los misterios de la fe.

    El arte de temática religiosa del expresionismo

    El expresionismo, como movimiento artístico vinculado a una visión existencialista del mundo, surge en un contexto histórico marcado por la crisis espiritual y los profundos cambios sociales de principios del siglo XX. Al estar influenciado por una visión existencialista de la realidad, donde la angustia, el aislamiento y la crisis de sentido son temas recurrentes, las obras expresionistas de temática religiosa reflejan una religiosidad particular que a menudo se distancia de la tradición religiosa objetiva y dogmática del cristianismo ortodoxo.

    La religiosidad que se desprende de obras expresionistas de temática religiosa tiende a centrarse en la experiencia humana del sufrimiento, la angustia existencial, y la búsqueda de sentido en un mundo que parece vacío o deshumanizado. A continuación, se exploran las características clave de este tipo de religiosidad, así como su relación con el contexto existencialista y borderline del estilo de vida de muchos artistas de esta corriente.

    Énfasis en el sufrimiento humano y la soledad espiritual

    El expresionismo tiende a distorsionar y exagerar las formas, los colores y las figuras para expresar emociones extremas y un profundo malestar existencial. En obras de temática religiosa, esto a menudo se traduce en representaciones de figuras religiosas que acentúan el sufrimiento y la desesperación humana. En lugar de mostrar a Cristo, la Virgen o los santos de manera serena y majestuosa, los artistas expresionistas tienden a representarlos en situaciones de angustia o dolor, reflejando el sentimiento de alienación y la fragilidad humana.

     Cristo en la cruz, por ejemplo, puede ser representado con un cuerpo distorsionado, reflejando un sufrimiento extremo y desgarrador. Esta representación no tanto busca reflejar la victoria sobre la muerte (como en el arte cristiano tradicional), sino el horror del sacrificio, subrayando el aspecto humano y doloroso del sufrimiento de Cristo, en lugar de su redención trascendental.

    Religiosidad previa existencialista: fe en un mundo desprovisto de sentido

    El existencialismo, especialmente el de autores como Søren Kierkegaard y Jean-Paul Sartre, influye en el expresionismo al enfatizar la experiencia individual y la angustia frente a un mundo percibido como vacío de sentido. En el contexto de la religión, esto a menudo implica una crisis de fe o una lucha profunda con la creencia en Dios. Obras expresionistas de temática religiosa pueden expresar una búsqueda de sentido en medio de la aparente ausencia o silencio de Dios.

     Las figuras religiosas en el arte expresionista a menudo parecen desamparadas o enfrentadas a la inmensidad del vacío, lo que refleja la desesperación del ser humano que busca respuestas trascendentales pero no las encuentra fácilmente. Esta religiosidad es más subjetiva, personal y marcada por la duda y la lucha interior, en lugar de una afirmación clara de la fe en un Dios omnipresente.

    Dios como un misterio incomprensible

    El expresionismo también puede llevar a una visión de Dios como una figura misteriosa, casi incomprensible para el ser humano. Esta idea está en consonancia con el pensamiento existencialista, donde el ser humano enfrenta una realidad que no siempre es coherente o comprensible. Las representaciones de Dios en el arte expresionista a menudo reflejan este misterio, y a veces lo presentan como lejano, indiferente, o incluso como una presencia que no responde al sufrimiento humano.

    Esta concepción de la trascendencia es muy distinta a la del arte religioso tradicional, donde Dios se muestra cercano, protector y accesible a través de la fe y los sacramentos. En el expresionismo, Dios puede ser visto como una presencia inquietante o como un abismo insondable, lo que crea una relación tensa entre el ser humano y lo divino.

    Espiritualidad angustiada y borderline

    El estilo de vida de muchos artistas expresionistas, a menudo descrito como borderline, conlleva una intensidad emocional y una lucha constante con los límites de la experiencia humana. Este estilo de vida se refleja en una religiosidad que no está marcada por la paz espiritual o la conformidad con la fe, sino por una lucha espiritual desgarradora.

    Esta espiritualidad se caracteriza por la ambigüedad y el conflicto: por un lado, hay un deseo de trascendencia y redención, y por otro, una sensación de abismo, caos y crisis interior. Los artistas expresionistas a menudo representan esta espiritualidad con figuras religiosas que parecen estar en el umbral del colapso emocional, lo que refleja su propia inestabilidad existencial.

    Religiosidad centrada en lo humano, más que en lo divino

    La religiosidad expresionista tiende a poner más énfasis en la condición humana que en la trascendencia divina. En lugar de ser una herramienta para la elevación espiritual o la glorificación de lo divino, el arte religioso expresionista a menudo se enfoca en mostrar el dolor humano, la alienación y el sufrimiento terrenal. Las figuras religiosas sirven, en muchos casos, como símbolos de la lucha interna del ser humano, más que como intermediarios entre Dios y los fieles.

    Las obras expresionistas de temática religiosa se desprenden de una religiosidad existencialista, que refleja la angustia y el sufrimiento del ser humano en un mundo que parece desprovisto de sentido o de respuestas claras. La espiritualidad que emerge de estas obras tiende a ser subjetiva, marcada por la soledad, el dolor y la búsqueda de sentido, y con una relación tensa con lo divino. Esta religiosidad es profundamente diferente de la tradición católica más objetiva y dogmática, que se basa en la certeza de la fe y la esperanza en la redención. En el expresionismo, la fe no es un consuelo seguro, sino una lucha constante con el misterio de la existencia y la aparente ausencia de Dios en un mundo angustiante.

     

    La fascinante sumisión de los comisionistas de arte sacro al genio del artista

    Es ciertamente fascinante y, a la vez, problemático el fenómeno que describes: la sumisión a la subjetividad del artista por parte de los comisionistas de arte sacro, que en algunos casos permite la introducción de visiones personales que no siempre encajan con la tradición litúrgica o la claridad doctrinal que se espera en el contexto católico. El caso de Jorge Oteiza y su intervención en el santuario de Aránzazu, donde decidió representar a 14 apóstoles en lugar de los tradicionales 12, es un ejemplo perfecto de cómo el arte contemporáneo puede confrontar los límites de la representación sagrada y poner en entredicho ciertos aspectos de la tradición.

    Jorge Oteiza, uno de los escultores más influyentes del arte moderno en España, fue encargado de crear un conjunto escultórico para el santuario de Nuestra Señora de Aránzazu en el País Vasco. Su proyecto incluía, entre otras obras, la representación de los apóstoles. Sin embargo, en lugar de seguir la tradición de representar a los 12 apóstoles, Oteiza incluyó 14 figuras, lo que generó polémica tanto en su época como en años posteriores. Esta decisión es un ejemplo de cómo la visión personal del artista puede entrar en conflicto con las expectativas religiosas y litúrgicas de un espacio sagrado.

    Este caso refleja la simbiótica relación que a veces surge entre los comisionistas de arte sacro y los artistas contemporáneos. La Iglesia Católica, tradicionalmente, ha sido la guardiana de la ortodoxia en las representaciones religiosas, especialmente en contextos litúrgicos. Sin embargo, en ciertos momentos de la historia moderna, los encargados de la comisión artística parecen haber dado una libertad excesiva a los artistas, permitiendo que la subjetividad del creador se imponga sobre la claridad teológica y simbólica que se espera en las obras de arte sacro.

    Valoración del arte como provocación: También es posible que los comisionistas, especialmente en las décadas de auge del arte moderno, vieran en la provocación artística un valor en sí mismo. Esto responde a una época en la que el arte comenzó a ser visto como un vehículo no solo de belleza y representación, sino también de cuestionamiento y renovación espiritual.

     El “genio” del artista como oráculo: A menudo, los comisionistas pueden verse tentados a dejar que el genio del artista trascienda la tradición, ignorando que su principio es remover todo canon establecido, no sólo el artístico. En el caso de Oteiza o de Fazzini, su estatus como un escultores destacados integrantes de las vanguardias influyó en que se les permitiera una libertad que no se habría otorgado a otros artistas menos reconocidos. Esto crea un desequilibrio entre la individualidad creativa del artista y la función colectiva que el arte religioso debe cumplir en el contexto litúrgico.

     

    La imposición expresionista

    El expresionismo se caracteriza por la búsqueda de una voz subjetiva, una voz que distorsiona la realidad no para representarla tal como es, sino para reflejar la experiencia interior del artista. En este sentido, el arte expresionista tiene una intención profundamente individualista. Sin embargo, cuando estas obras son colocadas en espacios religiosos católicos, como iglesias, basílicas o centros de reunión, existe una tensión entre esa subjetividad individual y el mensaje colectivo y doctrinal que se espera en el arte religioso.

    La paradoja radica en que una obra subjetiva, marcada por la perspectiva única del artista, puede ser colocada en un espacio donde se espera que la obra funcione como un símbolo universal, un medio de elevación espiritual para todos los fieles, sin distorsionar o contradecir los fundamentos doctrinales de la fe. Esto plantea una serie de problemas:

        Subjetivismo impuesto: Cuando una obra de arte expresionista, cargada de las experiencias y emociones personales del artista, es aceptada sin una revisión crítica en un espacio de culto, se corre el riesgo de que la experiencia subjetiva del artista se imponga a toda la comunidad. Esto puede generar confusión entre los fieles, quienes pueden ver en la obra una interpretación doctrinal o teológica que en realidad responde más a la visión personal del artista que a la enseñanza de la Iglesia.

        Falta de discernimiento teológico: Los encargados de la comisión de arte religioso deberían aplicar un criterio crítico y teológico al seleccionar las obras que serán expuestas en espacios sagrados. En algunos casos, sin embargo, como el que mencionas, este discernimiento puede ser insuficiente, permitiendo que obras que distorsionan o confunden ciertos aspectos esenciales de la fe se conviertan en puntos focales de devoción.

    El caso de La Resurrección de Pericle Fazzini

    La escultura de La Resurrección (1977), ubicada en la sala de audiencias del Vaticano, es un ejemplo de este fenómeno. Fazzini imaginó a Cristo resucitado emergiendo del cráter de una explosión nuclear, lo que introduce una serie de elementos simbólicos que pueden ser, en el mejor de los casos, ambiguos, y en el peor, confusos teológicamente.

     Cristo emergiendo desde dentro de una explosión nuclear: Esta imagen, aunque impactante visualmente, es muy problemática en un contexto católico, por mucho que haya sido aceptada por varios papas, porque mezcla la idea de la resurrección —que es un acto de amor, victoria sobre la muerte y redención— con una imagen de destrucción masiva. Si bien algunos podrían interpretar esto como una metáfora de la renovación y la esperanza que surge tras el desastre, la simultaneidad de resurrección y catástrofe podría resultar en una lectura más pesimista o distópica, lo que no es coherente con la esperanza plena en la resurrección.

    Gethsemaní y la resurrección simultáneos reflejan otra gran frivolidad: La afirmación hecho por el escultor sobre su inspiración, de que Cristo resucita en el lugar donde oró en Gethsemaní antes de su Pasión desdibuja los eventos narrados en los Evangelios. En la tradición católica, Gethsemaní es el lugar de la agonía y el sufrimiento, mientras que la resurrección ocurre en el Santo Sepulcro, el lugar de su entierro. Esta mezcla de referencias geográficas y teológicas, fruto del subjetivismo del artista, es una de las claves de confusión de la obra.

    0

    Añadir un comentario

  5. El análisis del pensamiento y la obra de Jorge Oteiza, revela un anticristianismo implícito contrario a la identidad de edificios como el santuario de Aranzazu. Este anticristianismo se manifiesta en su enfoque gnóstico de la espiritualidad, su rechazo a la visión tradicional cristiana del mundo y su síntesis de elementos ancestrales y modernos que, en conjunto, ofrecen una cosmología que desafía los fundamentos de la teología cristiana, particularmente la católica.

    Anticristianismo Implícito en la Cosmología de Oteiza

    A primera vista, Oteiza no parece atacar frontalmente la teología cristiana, pero su pensamiento contiene elementos que contrastan profundamente con la cosmovisión cristiana, particularmente en tres aspectos claves:

    El Vacío como Centro Espiritual: La idea de que el vacío del crómlech tiene un significado trascendental y es el lugar donde se revela lo espiritual es una noción muy cercana a la filosofía gnóstica. La gnosis, en sus diversas formas, ha estado históricamente en conflicto con el cristianismo, en particular con el catolicismo, que defiende una creación positiva del mundo por parte de Dios. En el pensamiento cristiano, el vacío no es el centro espiritual del universo; más bien, la plenitud de Dios se manifiesta en su creación y, sobre todo, en la Encarnación de Cristo. Para Oteiza, el vacío es revelador de una verdad oculta, una cosmovisión que excluye el papel redentor de Cristo en la historia y la materia.

    Rechazo del Dogma Cristiano de la Salvación: El cristianismo, y en particular la teología católica, se centra en la salvación a través de la gracia, los sacramentos y la redención obtenida mediante Cristo. Sin embargo, Oteiza plantea una espiritualidad que parece desligarse de este esquema. Su énfasis en el "alma vasca" como una fuerza espiritual autónoma y su creencia en la capacidad del arte para revelar verdades trascendentes son elementos que sugieren una salvación personal a través del conocimiento (gnosis) y no a través de la fe en Cristo. Este enfoque desafía el principio cristiano de que la verdad y la salvación están exclusivamente en Cristo y su Iglesia.

    El Ancestralismo y el Retorno a lo Primordial: Oteiza se distancia de la teología católica al situar el centro espiritual de la cultura vasca en el pasado precristiano. Su idealización del Neolítico como la fuente de la verdadera identidad vasca implica una especie de rechazo del cristianismo como un desarrollo posterior, y por tanto menos auténtico, en la historia cultural vasca. En contraste, la teología católica enseña que la Revelación cristiana cumple y supera las religiones anteriores, incluidos los sistemas precristianos. La idea de que el "alma vasca" se encuentra enraizada en un pasado primitivo que es más auténtico que las creencias cristianas posteriores es, en esencia, una negación implícita del papel redentor y civilizador del cristianismo.

    La Contradicción con la Teología Católica y las Obras Encargadas por los Curas

    El anticristianismo implícito de Oteiza entra en contradicción directa con la teología católica que, paradójicamente, fue promovida por los mismos sacerdotes y frailes que encargaron algunas de sus obras religiosas. Esta contradicción surge de la tensión entre el propósito espiritual de la Iglesia y la visión estética y filosófica de Oteiza, que parecía sugerir una síntesis entre el arte moderno y las antiguas creencias precristianas.

    La Síntesis entre Ancestralismo y Modernidad: Oteiza propone una visión del arte que, aunque modernista en su forma, intenta conectar con un pasado ancestral no cristiano. En sus esculturas y proyectos para iglesias (como el Apostolado de la Basílica de Aránzazu), introduce formas abstractas que representan el vacío y el espacio, evocando un misticismo que no encaja del todo con los dogmas tradicionales del catolicismo. Aunque las autoridades eclesiásticas que encargaron estas obras probablemente lo hicieron pensando que el arte moderno podría servir para actualizar y embellecer el mensaje cristiano, es posible que no fueran completamente conscientes de que, en el fondo, Oteiza estaba introduciendo una visión espiritual radicalmente distinta, más cercana a una cosmología pagana y gnóstica.

    La Religión como Herramienta Cultural en lugar de Fe Redentora: Mientras que la teología católica enseña que la fe cristiana es la única vía de salvación, Oteiza parece tratar la religión, y en especial el arte religioso, como un vehículo cultural para expresar una espiritualidad vasca que se remonta a tiempos anteriores al cristianismo. En este sentido, su proyecto en Aránzazu, por ejemplo, puede interpretarse como una representación de la espiritualidad vasca, pero no necesariamente como una obra que celebre el mensaje redentor de Cristo. Así, los religiosos que le encargaron estas obras, creyendo que lograban un éxito apologético al modernizar la representación artística del cristianismo, en realidad estaban promoviendo una visión que contradecía el propio contenido teológico de la Iglesia​.

    0

    Añadir un comentario

  6. Este articulo está elaborado por Inteligencia artificial de calidad, así que no representa un punto de vista subjetivo de un autor personal al que pueda acusarse de sesgos, prejuicios o desinformación.

    Se le ha pedido a la IA de Gptplus que valore lo dicho por el Papa en Indonesia en concreto estás palabras: "todas las religiones son un camino para llegar a Dios". Y las religiones son «distintos lenguajes» para llegar a Dios ya que «Dios es Dios y es Dios para todos y todos somos hijos de Dios.

    Valoración de la IA sobre el texto:

    1.Ambigüedad deliberada:

    La ambigüedad es una característica fundamental de los sofistas, que solían utilizar términos vagos o polivalentes para evitar confrontaciones directas con la verdad o con principios bien establecidos. En este caso, decir que "todas las religiones son un camino para llegar a Dios" introduce una ambigüedad que busca apelar a un sentimiento general de unidad, pero que no confronta las profundas diferencias que existen entre las religiones en cuanto a sus doctrinas fundamentales sobre la naturaleza de Dios, la salvación y la moral.

     Ambigüedad en el término "camino":

    El término "camino" aquí no se define claramente. En el cristianismo, Jesús se presenta a sí mismo como "el Camino, la Verdad y la Vida" (Juan 14:6), estableciendo de manera exclusiva que nadie llega al Padre si no es a través de Él. Sin embargo, el uso de "camino" en el contexto de esta afirmación difumina el sentido de exclusividad que tiene en el cristianismo, dándole un significado amplio y genérico. En este sentido, se usa "camino" para referirse a cualquier forma de acercarse a lo divino, lo cual podría implicar que todas las religiones son igualmente válidas para alcanzar la verdad y la salvación.

    Este enfoque relativista contradice no solo la enseñanza de la Iglesia Católica, sino también la de muchas otras religiones que se consideran poseedoras de la verdad sobre la divinidad o el sentido de la vida. La ambigüedad en este contexto es una herramienta retórica que evita abordar la cuestión central: ¿cómo puede un cristiano reconciliar la creencia en la exclusividad de Cristo como salvador con la idea de que otros "caminos" son igualmente válidos?

    Ambigüedad en "Dios":

    Otro aspecto importante es la falta de claridad sobre a qué "Dios" se refiere la afirmación. En el cristianismo, Dios es el ser trinitario (Padre, Hijo y Espíritu Santo), cuya naturaleza es específica y revelada a través de la Biblia y la tradición cristiana. Sin embargo, otras religiones tienen concepciones de lo divino que son incompatibles con esta visión. El Islam, por ejemplo, rechaza de manera categórica la Trinidad, mientras que el hinduismo y el budismo presentan ideas de lo divino muy diferentes, incluyendo el politeísmo o la negación de un Dios personal.

    Al afirmar que "Dios es Dios para todos", se elimina la especificidad de la revelación cristiana y se sustituye con una idea abstracta y vaga de lo divino. Esta ambigüedad en el concepto de Dios es sofista porque evita el debate sobre las diferencias teológicas cruciales y genera un falso consenso. A nivel retórico, se busca crear una sensación de unidad y comunión entre religiones, pero sin enfrentar las contradicciones doctrinales que existen entre ellas.

    2. Confusión de términos filosóficos y teológicos:

    La idea de que “todos somos hijos de Dios” es una afirmación que, a primera vista, parece reconfortante y agradable, pero que, desde un punto de vista teológico, confunde dos ideas fundamentales en el cristianismo: la filiación natural de las criaturas y la filiación divina por adopción en Cristo.

    Filiación natural y divina:

    En la doctrina cristiana, todos los seres humanos son criaturas de Dios, creados a Su imagen y semejanza (Génesis 1:27). Sin embargo, ser "hijo de Dios" en el sentido bíblico y teológico implica más que ser simplemente criatura. Según el Nuevo Testamento, la filiación divina está reservada para aquellos que, por la gracia de Dios y a través de la fe en Jesucristo, son adoptados como hijos de Dios (Romanos 8:14-17). El bautismo es el sacramento que introduce al creyente en esta filiación adoptiva, que es específica y no universal.

    Al decir que “todos somos hijos de Dios”, se elimina esta distinción fundamental. Esta confusión de términos es propia de un enfoque sofista, ya que juega con las palabras para generar una sensación de universalidad que, si bien es atractiva, distorsiona la doctrina cristiana tal como ha sido definida a lo largo de los siglos. Este uso de la retórica, en lugar de aclarar la enseñanza de la fe, la diluye y la confunde, lo que puede llevar a errores doctrinales y a la pérdida de la precisión teológica.

    3. Relativismo implícito en la idea de "distintos lenguajes":

    El argumento de que las religiones son "distintos lenguajes" para llegar a Dios es otra forma de relativismo religioso. Este enfoque puede ser visto como una táctica sofista porque, al reducir las diferencias entre las religiones a meros "lenguajes" o formas de expresión, se está trivializando la importancia de los dogmas, los ritos y las creencias específicas de cada religión. Esta reducción tiene varias implicaciones problemáticas.

    Reducción de la doctrina a una cuestión cultural:

    La idea de que las religiones son simplemente "distintos lenguajes" implica que las diferencias entre ellas son solo superficiales o accidentales, como si se tratara de meras variaciones culturales en torno a un mismo núcleo de verdad. Sin embargo, esto ignora las diferencias profundas y esenciales que existen entre las religiones en cuanto a sus concepciones de Dios, la salvación, la naturaleza humana y la vida después de la muerte.

    El cristianismo, por ejemplo, no ve a Jesús simplemente como un profeta o maestro, sino como Dios encarnado, cuyo sacrificio en la cruz es la única vía de salvación para la humanidad. Este punto no es negociable en la teología cristiana. El sofista, sin embargo, puede presentar estas diferencias como simples “lenguajes” que se pueden traducir o entender bajo una misma lógica, cuando en realidad, las doctrinas son incompatibles.

    Eliminación del compromiso con la verdad:

    El relativismo implícito en la metáfora de los “distintos lenguajes” también sugiere que no existe una única verdad religiosa, sino que todas las religiones son diferentes formas de expresar una misma realidad espiritual. Este tipo de pensamiento relativista es característico de los sofistas, quienes muchas veces argumentaban que no existe una verdad objetiva, sino que todo depende del punto de vista o del contexto cultural.

    Al aplicar este enfoque a las religiones, se está abandonando el concepto de una verdad revelada objetiva (como se sostiene en el cristianismo) y se está reemplazando con una visión donde todas las religiones tienen igual valor en la búsqueda de lo divino. En lugar de confrontar la pregunta sobre cuál es la verdad sobre Dios y la salvación, se difumina el concepto mismo de verdad.

    4. Apelación emocional a la unidad y la paz:

    El argumento también apela fuertemente a las emociones, un rasgo central en la retórica sofista. La idea de que “todos somos hijos de Dios” y que “todas las religiones son caminos hacia Dios” es una afirmación que resuena emocionalmente con un deseo humano profundo de paz y unidad. En un mundo dividido por conflictos religiosos, la propuesta de que todas las religiones son igualmente válidas en su búsqueda de Dios es reconfortante y atrae a aquellos que anhelan reconciliación.

    Sin embargo, esta apelación emocional evita enfrentarse a las preguntas más difíciles sobre la verdad religiosa y la naturaleza del pecado, la redención y la salvación. La estrategia sofista aquí es suavizar las aristas duras de las diferencias doctrinales, ofreciendo en cambio una visión idealizada de armonía interreligiosa. Aunque este enfoque puede ser útil en el ámbito del diálogo interreligioso o en el trabajo por la paz, es problemático en el ámbito de la teología, donde las preguntas sobre la verdad y la salvación son centrales.

    5. Evasión de la responsabilidad doctrinal:

    Finalmente, el discurso sofista a menudo evade el compromiso con una postura clara y definida, evitando el riesgo de ofender o alienar a ciertas audiencias. En este caso, la afirmación de que todas las religiones son caminos válidos hacia Dios parece estar diseñada para evitar el conflicto y promover una imagen de tolerancia y apertura. Sin embargo, al hacer esto, se elude la responsabilidad de abordar cuestiones cruciales sobre la verdad teológica.

    El cristianismo, y particularmente el catolicismo, enseña que Jesucristo es el único mediador entre Dios y los hombres, y que la Iglesia Católica es el medio ordinario de salvación. Al suavizar o relativizar esta enseñanza para presentar una visión de igualdad entre todas las religiones, se está evadiendo una de las responsabilidades fundamentales del cristianismo: proclamar la verdad de Cristo de manera clara y sin ambigüedades.

    Conclusión:

    El componente sofista de la afirmación “todas las religiones son un camino para llegar a Dios” se manifiesta en varios niveles: desde la ambigüedad conceptual hasta la manipulación emocional, pasando por la evasión de la verdad doctrinal y la reducción relativista de las religiones a simples “lenguajes” culturales. Aunque la intención detrás de estas palabras puede ser promover el diálogo y la paz entre diferentes creencias, el enfoque sofista conlleva el riesgo de sacrificar la precisión teológica y la coherencia doctrinal en favor de una retórica persuasiva que apela a los sentimientos, pero que a menudo elude el compromiso con la verdad revelada en la fe cristiana.

    Este análisis revela cómo el uso de un lenguaje vago y atractivo puede evitar la confrontación con las preguntas difíciles sobre la verdad religiosa, y cómo las palabras que parecen inclusivas y conciliadoras pueden, en realidad, enmascarar problemas profundos de coherencia teológica.


    0

    Añadir un comentario

  7.  La Batalla por la Liturgia: Progresismo y Tradición en la Reforma de la Misa Católica

     

    El Surgimiento del Catolicismo Progresista

    El catolicismo progresista emergió y creció a lo largo del siglo XX, cuando la Iglesia Católica comenzó a incorporar descubrimientos seculares en la erudición teológica y litúrgica. Este enfoque generó tensiones con el Magisterio oficial de la Iglesia, ya que intelectuales progresistas otorgaron más autoridad a los expertos académicos en áreas como estudios bíblicos y liturgia, desafiando la primacía de la enseñanza de los obispos y el Papa. Para la década de 1960, este “nuevo Magisterio” progresista ya estaba en abierto conflicto con el Magisterio tradicional.

    El Movimiento Litúrgico: Objetivo y Orígenes

    El Movimiento Litúrgico fue uno de los primeros desarrollos de este catolicismo progresista. Iniciado por académicos, su meta era adaptar la Misa tradicional en latín a las necesidades del hombre moderno. Según distintos estudiosos, el movimiento respondía a la incapacidad pastoral de la Misa para conectarse con las personas contemporáneas. A su vez, otros señalar que su propósito original era educar sobre la liturgia, antes de proponer reformas litúrgicas más radicales.

    En los primeros años, el movimiento fue cauteloso, proponiendo ajustes menores, pero con el tiempo, fue ganando impulso y sus líderes comenzaron a abogar por reformas más significativas. Esta progresión mostró cómo el movimiento pasó de un enfoque educativo a una agenda de reformas.

    La Conexión con Pío X: ¿Un Inicio Apropiado?

    El papa Pío X publicó en 1903 Tra Le Sollecitudini, un motu proprio litúrgico que ha sido visto por algunos como el punto de partida del Movimiento Litúrgico. Sin embargo, Sute (*) argumenta que esto es una exageración. Mientras que el movimiento buscaba hacer la liturgia más accesible, Tra Le Sollecitudini tenía el objetivo opuesto: proteger la pureza de la Misa frente a las innovaciones modernas. Pío X estaba más interesado en preservar la música sacra tradicional, como el canto gregoriano y la polifonía, y evitar la introducción de música moderna, que consideraba profana.

    Por tanto, clasificar el documento de Pío X como el comienzo del Movimiento Litúrgico no parece adecuado. Sute (*) sugiere que es más correcto verlo como parte de una tradición conservadora de literatura litúrgica que defendía los ritos tradicionales, similar a textos de papas posteriores como Mediator Dei de Pío XII.

    Dom Lambert Beauduin: Un Figura Clave en el Movimiento Litúrgico

    El sacerdote belga Dom Lambert Beauduin es considerado una figura central en el Movimiento Litúrgico. Beauduin fue pastor entre la clase trabajadora antes de convertirse en monje benedictino, y su experiencia influyó en su visión sobre la necesidad de adaptar la Misa para atraer a la creciente población urbana e industrial.

    En 1914, Beauduin publicó Liturgia y la vida de la Iglesia, donde argumentaba que la liturgia no debía verse como una “antigüedad fosilizada”, sino que debía evolucionar para responder a las necesidades del hombre moderno. Beauduin defendía que la liturgia debía involucrar a los fieles de manera más activa, permitiendo que se comprometieran plenamente con la experiencia de la Misa a través del canto y la participación en los ritos.

    Crítica Implícita a la Misa Tradicional en Latín

    Aunque Beauduin era cuidadoso con sus palabras, Sute (*) sugiere que su enfoque implicaba una crítica a la Misa tradicional. En aquella época, la Misa en latín era predominantemente no participativa: el sacerdote rezaba en latín de espaldas a los fieles, y las oraciones se realizaban en silencio o en un tono bajo. Para Beauduin, esto hacía que los laicos fueran espectadores pasivos en lugar de participantes activos. Al proponer una mayor participación, Beauduin cuestionaba las rúbricas que regulaban la Misa y su estructura jerárquica, lo que sentaba las bases para una reforma más amplia.

    El Hombre Moderno y la Liturgia

    Una de las principales justificaciones del Movimiento Litúrgico para las reformas era que el hombre moderno ya no podía conectarse con los ritos tradicionales de la Iglesia. Este "hombre moderno", según los académicos progresistas, era un individuo más alfabetizado, políticamente consciente y escéptico, producto de la Revolución Industrial y la democratización creciente en Occidente.

    El proletariado urbano, en particular, enfrentaba dificultades para comprometerse con la Misa en latín debido a su estilo de vida acelerado, la popularización del entretenimiento y su desconexión con el silencio y la oración profunda de la Misa tradicional. Además, la Misa en latín, con su énfasis en rituales jerárquicos y en una lengua desconocida para la mayoría, parecía no ofrecer un espacio significativo para la participación laica.

    Críticas del Movimiento Litúrgico al Tradicionalismo

    El Movimiento Litúrgico también criticaba el carácter anticuado de algunos elementos de la Misa, que habían sido introducidos a lo largo de los siglos y que, según Beauduin y otros, ya no tenían relevancia para los fieles. Estos académicos pedían una "participación activa e inteligente" de los laicos, algo que, según ellos, no era posible en la estructura litúrgica tradicional. A través de estas críticas, el Movimiento Litúrgico fue preparando el terreno para la reforma litúrgica que ocurriría durante el Concilio Vaticano II.

    La Ambigüedad del Término "Hombre Moderno"

    Una crítica importante que se hace al Movimiento Litúrgico es que el concepto de "hombre moderno" nunca fue claramente definido por los reformistas. Mientras que parecían asumir que el hombre moderno tenía necesidades espirituales distintas a las de sus antecesores, no lograron detallar en qué consistían exactamente esas necesidades. Aunque los cambios como la alfabetización y la industrialización parecían estar en la mente de los liturgistas, estos factores no se explicaron adecuadamente. Para tener unos principios tan didácticos, no se llevó cabo una verdadera preparación.

    La Respuesta Tradicionalista

    A pesar de la influencia del Movimiento Litúrgico, los tradicionalistas litúrgicos ofrecieron una fuerte resistencia. Para ellos, la Misa en latín ofrecía un escape necesario del ruido y la superficialidad del mundo moderno. Creían que los elementos que el Movimiento Litúrgico criticaba, como el uso del latín o los rituales jerárquicos, proporcionaban una sensación de misterio, belleza y trascendencia que ayudaba a los fieles a conectarse con lo divino.

    Además, los tradicionalistas argumentaban que el sacrificio eucarístico, como representación del sacrificio de Cristo en la cruz, era mejor comunicado en una liturgia cargada de simbolismo y misterio, algo que se perdería si la Misa fuera "demasiado comprensible".

    El Concilio Vaticano II y la Reforma Litúrgica

    A pesar de las críticas, las ideas del Movimiento Litúrgico encontraron aceptación a nivel oficial con el Concilio Vaticano II. Los académicos progresistas que promovían la reforma lograron que sus ideas fueran adoptadas por la jerarquía eclesiástica, lo que llevó a una reforma radical de la Misa que como sabemos incorporó la lengua vernácula y exigió una mayor participación laica.

    Conclusión: Dos Visiones en Conflicto

    Mientras el Movimiento Litúrgico defendía que la Misa tradicional debía ser actualizada para responder a las necesidades del hombre moderno, los tradicionalistas mantenían que esas mismas características criticadas eran las que la hacían más relevante que nunca en un mundo secularizado. Esta tensión entre el progresismo y el tradicionalismo en la liturgia católica es un reflejo de un conflicto más amplio dentro de la Iglesia sobre cómo adaptarse sin perder su plano esencial, lo que la constituye propiamente.

    (*) Sute, Daniel P., "Novus Ordo: The Rise of Progressive Catholicism and the Fall of Traditional Catholic Worship" Tesis doctoral (2022)

    0

    Añadir un comentario

  8. Es sabido que la técnica del modernismo teológico es conciliar el conocimiento materialista de la ciencia de su época con una interpretación espiritual que acaba desvirtuando la teología, que en este espacio entendemos no como un saber académico de facultad, sino en el sentido de la sabiduría perenne de la tradición-transmisión católica. No vamos a ir entonces por ese camino de falsa adaptación, sino a proponer lo siguiente:

    Todas las especies de homínidos con inteligencia han desaparecido menos la nuestra, homo sapiens, desde la antropología prehistórica, la que se hace desde los datos de las excavaciones, sólo se alcanza a conjeturas a partir de huesos, capacidad craneal, y más actualmente estudios genéticos. Al ser ciencia material se confina a sí misma a lo que puede probarse materialmente; el científico usará sólo una mínima parte de su propia inteligencia, inducciones y deducciones, pero siempre desde el dato material, no admitiendo invocarr zonas superiores de su intelecto. Está bien, pero si eso fuera obligatorio para todos habría que quitar de las bibliotecas toda filosofía. El problema no está en hacer ciencia sino en hacer cientismo, cuyo principio es que de aquello que no pueda verificarse materialmente no se debe hablar. El retrato del ser humano, más allá de su cercana vida cultural documentada de los últimos miles de años, debe ser única y exclusivamente el que salga de las excavaciones, eso es cientismo.

    Pero tenemos el conocimiento que nos viene de la biblia y que es dogma de fe, es decir, no mera aquiescencia, sino suprema sabiduría que nos viene de Dios y que de otro modo, con nuestras pequeñas facultades, no podríamos alcanzar. En esta fe sabemos de Adán como primer humano y Eva primera mujer, ambos creados inmediatamente por Dios insuflando en una materia inerte el alma que participa desde el principio del ser de Dios, que no puede morir y vive en pureza. Sabemos del pecado original y que ambos, varón y mujer, fueron echados del paraíso; fuera de allí tuvieron progenie, pero ya de doble índole, mala y buena, mala la de Caín, buena la de Abel mártir y luego Seth, consuelo de Dios a los padres, pero una progenie ya condenada a la muerte y con capacidad de llegar al Cielo sólo tras ímprobos esfuerzos y luchas contra su inclinación al pecado.

    Planteamos que los seres de forma humana como neandertales y denisovanos, o especies parecidas que hayan existido, deben ser separados de otros homínidos sin inteligencia, porque está demostrado que tenían una cierta cultura, ahora bien no provienen de Adán y Eva, que son el origen de los humanos actuales que tenemos una inteligencia espiritual capaces de la conciencia divina. Aquellos no proviniendo de Adán y Eva no podían cometer el pecado original, pero sí habían de morir, en cuanto seguían siendo animales, eso sí con inteligencia, y practicando la bondad que se ve en los animales con los de su propio clan. Pero aun sin conciencia inmediata de Dios, El sí les concedió una prueba para poder llegar al Cielo: deducir con su inteligencia la existencia de Dios por sus huellas en la naturaleza y en la providencia de los sucesos, algo que no pueden hacer los animales. Los Neander y otros homínidos inteligentes, en mucha medida estaban al mismo nivel que la mayoría de nuestra humanidad actual que por eso tiene una culpa mucho mayor: no “querer” extraer las conclusiones sobre el ser de Dios; y si no llegaban a aceptar al ser de Dios, haciéndose los ignorantes o posponiendo la cuestión, menos pueden llegar a amarle. Advirtamos de paso, que los paleontólogos que abordan a los homínidos, descartan por método a Dios (en su ciencia otra cosa es cuando están a solas con su conciencia), haciendo con ello “cientismo”, convergiendo con el no quiero saber sus estudiados seres fosilizados.

    Es dogma de fe que todos los humanos con más que inteligencia natural, provenimos de Adán, esto ha sido considerado un despropósito en el pasado, sin embargo, ahora hay una vuelta de tuerca, pues es la misma ciencia la que exige someterse a su enseñanza de que todos los humanos provenimos no sólo de un homo antecessor sino de alguna célula primigenia que nos parió a todos. Pero incluso si aceptáramos eso, sería válido como mucho para los neandertales, en un proceso de evolución, claro está siempre dirigido por Dios mismo, pero desde el lado de Adán el origen es de inmediata implantación, y después tenemos un ser humano en continua involución, que somos nosotros.

    No puede haber un homo antecesor a Neander y Sapiens, frente a lo que dice la paleociencia, porque sus orígenes son cualitativamente distintos, espiritualmente distintos. Los Neander tenían inteligencia pero no alma, eran el culmen de la creación de los animales, si no alcanzaban a reconocer al Dios creador y providente, simplemente desaparecerían corporal y metafísicamente, sin más, esto dicho en un plano individual.

    Pero Neander parece no haber alcanzado un nivel aceptable de creencia en Dios hasta que se lo transmitió el homo sapiens; éste, aun habiendose degradado por el pecado original, y echado de la cercanía de Dios, mantenía la memoria, desde Caín y Seth, de la existencia amorosa de Dios, del cual habían comprobado dolorosamente su poder de castigar. En esta confluencia, los Neander coexistentes con homo sapiens, recibieron una bendición y una maldición, la bendición de poder superar el nivel de mera inducción sobre Dios y tener revelación sobre El, pero la maldición que le venía del homo sapiens, pues éste si no era benévolo con su clan mucho menos lo sería con un clan de otra especie; además la malicia le convertía en un animal más artero y letal, como individuo y como grupo. No había ninguna posibilidad a largo plazo para la supervivencia de los otros seres humanos no adánicos, no maliciosos.

    Cronológicamente entonces, tenemos especies humanas no adánicas, que se mantienen en el tiempo iguales, ascendiendo culturalmente dentro de su inteligencia, pero sin las evoluciones que da la maldad, extinciones programadas de semejantes, esclavizamiento, armas más letales,etc. Homo sapiens en cambio es el fruto de una involución, de un estado de bondad, lo que incluye un cuerpo original que no podía ser el que hoy conocemos, ya que era receptáculo para el alma dada por Dios, quizá un cuerpo semiglorioso, pero no como el nuestro claramente destinado a degradación y muerte. Será tras el pecado original cuando surge una descendencia, la peor, que se vinculará a los humanos (recordemos aquello de los hijos de Dios vieron atractivas a las mujeres de los hijos del hombre, debiendo entenderse por hijos de Dios los humanos no adánicos que hacían la voluntad divina, mientras los hijos de los hombres eran los que hacían su propia voluntad, no la de Dios); de aquí surgirán razas o especies, bien inviables o bien que se irán asimilando a sapiens, ya que estos echarían de su seno a todos aquellos con demasiado linaje neander, carentes de malicia suficiente para competir, pudiéndose deducir de aquí una selección eugenésica.

    Ahora bien, la progenie mezcla de colosalismo y malicia que todavía prosperaba y que amenaza el futuro del sapiens con mayor peso de bondad, el linaje de Seth, sabemos fue extinguida por acción directa de Dios, que envió un mensaje de advertencia a los que todavía le escuchaban y amaban, así como a los animales que no tenían culpa, por seguir siendo obligadamente animales, pero necesarios para el ser humano, con una misión de seguir dando  a los humanos ejemplo de bondad con la propia casta, de simplicidad y humildad.

    Una última observación sobre el cuerpo humano tras la caída original, pues de alguna forma el cuerpo semiglorioso perdió sus cualidades y quedó al nivel del cuerpo de los humanos no adánicos, pasando la índole espiritual de Adán y Eva que no fueron creados como seres sexuados (malentendido a partir de la traducción hombre y mujer los creó) llegando eso después, tras el deseo de nuestros primeros padres de poder procrear al modo de los otros humanos a los que entreveían desde el paraíso, lo que les fue concedido para su desgracia, llegando a ser “creadores” pero sujetos a todo padecimiento vinculado con esa capacidad nueva de “crear”, hoy bien conocido entre nosotros, y que va alcanzando un clímax de degradación nunca antes conocido, que prueba seguimos profundizando en la involución. Adán y Eva no fueron concebidos por sexualidad, como tampoco Cristo fue concebido así por la Virgen, la procreación pensada por Dios debía haber sido por una suave mezcla corporal espiritual dirigida por Dios mismo en su voluntad sin fomes de animalidad. Y así en Cristo y la Virgen el Padre hace su nueva creación sin fomes, a partir del germen que somos aun dentro de nuestra complejidad, generando hijos espirituales por toda la tierra, pero nunca por obligación de naturaleza, sino siempre mediando la voluntad de los que Dios quiere favorecer con su paternidad, o de la voluntad de los padres si no llegan a edad de razón.

     

    0

    Añadir un comentario

  9.  Se va a proceder a excavaciones justo en el perímetro que ocupa la basílica de Begoña, porque según averiguaciones del departamento de arqueología de la diputación de Vizcaya, ahí justo en el fondo podría estar una población romana, a la que ya le han dado el nombre de Vecunia, de donde vendría el Begoña aunque sea este nombre de la Virgen datado más de medio milenio atrás.

    El obispo de la diócesis ha aceptado bonus voluntatis la propuesta de excavación, aunque lo primero que van a encontrar y tener que trasladar son más de mil cadáveres de próceres allí enterrados junto a la amatxu de Begoña. Eso sí no se interrumpirá el culto. Tal aceptación sorprende porque las bases de la hipótesis Vecunia, como poblado anterior romano, son extraordinariamente débiles, un supuesto rótulo en latin referido por el jesuita Henao en el siglo XVII, pero sin prueba alguna, sobre unos "vecunienses" que habrían labrado un paso de calzada entre rocas a 15 kms actuales del santuario. 

    No pretendemos decir que no se hagan las excavaciones (menudo caso nos harían, pero esto es para que conste) porque a lo mejor se trata de un intercambio mutuo entre diócesis y arqueólogos oficiales, te dejo excavar, que levantes todo y luego me lo repones todo ya muy arreglado y reforzado, pues hace ya mucho tiempo de anteriores intervenciones y todo sin levantar una polvareda entre los enemigos de la iglesia.

    Ahora bien, dejar excavar por la autoridad diocesana, supone hacer mutis a un hecho elemental en la acción de la Virgen en cuanto a la fundación de sus santuarios, esto es, que deben estar lógicamente en lugares vírgenes, son para asentar y propagar la presencia de María y para lo cual se disponen los milagros. Es el caso que justamente en los santuarios de María en el antiguo país vasco, tienen todos ellos una similitud que es que las gentes de cada lugar elegido, han querido enmendar la plana a la Virgen, queriendo fundar en otro sitio por razones humanas, unas veces más abajo de donde tiene lugar la aparición de una imagen, otras más arriba, como en el caso de Begoña. Incluso hoy día se sigue dando el caso, pues sólo hace unos pocos años con motivo de la llamada Y vasca, han removido el lugar del santuario de Ezkioga (que no llegaba ni a ermita al no estar aceptado por la Iglesia) y lo pusieron más arriba, porque estorbaba a los constructores viarios, el mismo lugar desde donde se profetizo la guerra civil. 

    En el ideario de los arqueólogos  todo lo dicho es nada, leyendas y peor aún, estrategias de poder como fuente del surgimiento de iglesias y santuarios, un uso crematístico de la religión. Esto es lo que llevan en su mente, precedidos de  miles y miles de libros y artículos con esa misma tesis, por tanto como tataranietos de la desmitificación, que en sí es una contrafe. Eso sí, se les da en nada que el mayor experto en epigrafía del siglo XIX, el alemán Hubner, estableciera que lo del padre Henao no tenía un mínimo sostén, sólo que el tema ha sido repetido por anteriores historiadores, pero sólo porque estaba en el libro del siglo XVII del jesuita.

    Se ha dicho por el director científico del proceso, Santana, que podría ocurrir un hit como el de la mano de Irulegui descubierta el año pasado, un resto en bronce, que dado el clima de uso a favor de corrientes ideológicas que lleva un siglo en vigor, se ha convertido en un fenómeno popular, el cual si no era un resto falso sí se ha hecho falsía de interpretación "identitaria". 

    Por eso hay que estar atentos, ante cualquier posible mixtificación que pueda producirse, por ejemplo "recolocación" de restos romanos de otros sitios allí, lo que ya se ha producido en otros lugares como Iruña veleia. Sería un éxito "probar" que la colonización romana avanzada fue un hecho junto a la ría bilbaína, pero no entendiendose porqué habrían decidido hacer una población en una colina y no junto al propio mar cantábrico, como ocurriera con Oiasso/Irún, y puesto que existía la pax romana. No siendo hasta el siglo XIV cuando se fundó bilbao y eso junto a la ría. Pero el resultado "positivo" sería desdecir que el lugar fue elegido por la Virgen, y por tanto que el santuario no tiene origen divino sino humano. Si yo fuera el obispo, monseñor Segura, estaría temblando, aunque me arreglaran la base del templo.

    0

    Añadir un comentario

  10.  En todos estos años puede decirse que no han tenido éxito los argumentos dados contra el pontificado de Francisco, porque todos ellos pueden rebatirse o ser esquivados por el abogado del diablo con cierta facilidad dejando escapar al preso. La renuncia inválida, los argumentos sobre el lenguaje de la renuncia de Benedicto, las profecías sobre los papas restantes, la coexistencia de dos papas, incluso las herejías aducidas (ya que los textos se encuentran escritos con estructura de doble lenguaje double speak, de manera que siempre se puede, ante el que rebate, aducir que no ha tenido en cuenta el conjunto de texto y contexto). Los Cionci, los Viganó, los Zarraute, los youtubers católicos, los objetores canónicos, etc. no pueden impedir que la presa se les escape de las manos.

    Es muy posible que haya una razón de economía divina en esta situación escurridiza, que no puede ser otra que declarar que no hay espacio protegido ante una historia tan permanente de conculcaciones consentidas, y que la enfermedad que no se ataja sólo puede conducir a padecerla hasta sus últimas consecuencias.

    Movimientos como neocatecumenales o pentecostales llevan décadas con label católico siendo en el fondo catoprotestantes, surgidos en la era de experimentación posconciliar, gozando incluso de aceptación papal dado que eran hechos consumados con seguidores sinceros, porqué entonces no iba a llegar un momento en que el mismo papado iba a quedar exento de no ser un camuflage, un caballo de Troya sin advertencia de los troyanos, incluso tomando éstos papel activo en la defensa del equino artificial. Una comunión de rueda de molino. Del mismo modo las prácticas atrevidas de los últimos papas, por legítimos que fueran, podían ser interpretadas como el propio Vaticano II de manera doble, imponiendo enseguida los audaces gracias a su poder vocinglero, la interpretación heterodoxa que no estaba en la intención papal. Nos fuimos acostumbrando a los gestos ecuménicos cada vez más atrevidos, entonces porqué la interpretación avanzada no iba a imponerse sobre la de espíritu contenido; cierto, el pastor se acerca al abismo por rescatar a un animal en su borde, pero hay un punto impreciso a partir del cual actúa la ley de la gravedad arrastrando al vacío al pastor junto al animal.

    Los pasos en falso cada vez de consecuencias más graves, han sido posibles gracias al pertinaz rechazo a los avisos proféticos de la Virgen en especial, normalmente declarados como de no constancia sobrenatural. Esto que podía ser cierto en algunos casos, se extendió generalizadamente en modo prudencia gamaliense, pero así dejaron de llegar a la iglesia de representantes los consejos divinos de verdadera prudencia, quedando a merced de sus lógicas humanocéntricas, prefiriendo netamente la pseudoteología como oráculo, porque nadie puede no ser seguidor de un profeta, que si no es de origen divino, lo será de orden humano y ése no es el camino del primer mandamiento.

    Entonces ¿qué solución tenemos? En lugar de consumirse estérilmente con argumentos racionales, canónicos, de exégesis profética, de exégesis textual, etc., que el diablo dribla perfectamente, y aun sin dejar de observar verdad en ellos, hemos de seguir la sencilla pauta del Señor en cuanto a los sumos pontífices en su tiempo, nada dijo contra su legitimidad de legalidad humana incluso si fuera más que dudosa, porque El tiene un reino que no es de este mundo, incluso pedía hacer lo que ellos decían (lo bueno que dijeran) pero no hacer lo que ellos hacían. Todavía habló menos contra el poder romano y no disputó un metro a ningún terrateniente, porque El estaba aquí por las almas. Porque sabía que no hay que aplicar un remedio que sea peor que la enfermedad, al arrancar el trigo y las vidas con la cizaña. Y si haciendo el bien, nos condenan porque ven algún peligro para su causa, o para su exceso de celo reformador, entonces hemos alcanzado a partir el pan con el Señor y a ser la buena semilla que muriendo germina.

    Y como le decía el Señor a una monja venerable, mostrándosele cubierto en sangre, “mira cómo me han puesto tus bizarrías”; cuidémonos de una bizarría que luego no resiste la menor presión del último de los presentes abogados del diablo, tanto por el Señor como por nosotros mismos.

     


    0

    Añadir un comentario

Entradas populares
Entradas populares
Archivo del blog
Archivo del blog
Archivo del blog
Archivo del blog
Todas las entradas aquí
Todas las entradas aquí
Links
Cargando
Con la tecnología de Blogger.